Mer. Nov 20th, 2024

                                                                                       [Nulla poena, sine lege ]

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La violenza e la ferocia che trapela all’interno delle mura delle carceri in Italia è un fenomeno sempre più diffuso, molteplici possono essere i motivi che conducono a tale forma di “punizione” o per meglio dire “sorveglianza” (Foucault M., “Sorvegliare e punire, nascita della prigione”), in primis il numero elevato di detenuti il quale determina una difficoltà nel monitoraggio di essi all’interno delle sbarre e delle differenti esigenze di cui hanno bisogno. Pertanto i numeri sono indicativi e rilevano che a fine Febbraio il numero totale dei detenuti arrivava a “60.348” in relazione ad una capienza massima di “50.522”. A fronte di questi dati esorbitanti, la condizione dei detenuti costretti a vivere quotidianamente con un gran numero di altri di loro in celle ristrette e oppressive è degradante, sono sottoposti a condizioni igienico sanitarie complesse e oltre a ciò il gran numero di detenuti ha favorito il diffondersi della pandemia all’interno dell’istituzione penitenziaria a causa della mancanza delle norme sanitarie adeguate e il numero ridotto di detenuti vaccinati. Altresì aumentano i suicidi all’interno delle celle, vi è mancanza di sostegno psicologico e psicofisico adeguato al cosiddetto “REINSERIMENTO” del detenuto in quanto in primis persona umana avente diritti umani inalienabili, alla società. L’aumento della popolazione carceraria, anche in rapporto ai recenti ingressi immigratori, ha generato nell’ultimo decennio un forte sovraffollamento degli istituti di pena, che deteriora ulteriormente la qualità della vita dei detenuti, già provati per le condizioni di limitata libertà. Il sistema che provoca il sovraffollamento è anzitutto l’abnorme ricorso alla carcerazione preventiva, cioè prima della condanna; nonostante si siano più volte irrigidite le norme che consentono l’arresto prima del processo ossia  condizioni di limitata libertà. Le difficoltà strutturali possono in taluni casi essere attenuate dalla qualità gestionale e di natura meramente organizzativa (Fonte Wikipedia). Ma in uno Stato di diritto plurisoggettivo ove agiscono soggetti civili qualsiasi forma di violenza dovrebbe, in teoria, essere bandita o perlomeno sanzionata, non esiste chi stia dalla parte del buono o del cattivo, se compio un atto deviante deontologicamente scorretto e fuorviante dalla mia professione, devo essere punito. A fronte di taluni presagi, i fatti di cronaca avvenuti negli ultimi giorni dimostrano uno scenario alquanto diverso, raccapricciante, il quale ha senza dubbio avuto ripercussione tra l’opinione pubblica: un’esperienza raccontata e rielaborata qui da parte di un ex detenuto sulla sedie a rotelle del carcere di Santa Maria Capua Vetere, pestaggio avvenuto da parte della polizia penitenziaria con i manganelli provocando la morte di un ragazzo. Azioni disumane che vanno al di fuori di ogni artificio umano “ci hanno pestato come animali da macello, la violenza fisica forse passa, ma quello che ho vissuto mi resterà come una cicatrice sul cuore”. Un’offesa e un oltraggio alla dignità della persona dei detenuti e anche a quella divisa che ogni donna e ogni uomo della Polizia Penitenziaria deve portare con onore. Davanti ai video pubblicati di quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere l’anno scorso, il 6 aprile 2020 la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, parla di “un tradimento della Costituzione”. Ritornando al discorso che fa Foucault sul ruolo del carcere inteso non meramente come istituzione ove punire, mettendo in crisi il concetto, comunemente accettato e stigmatizzato, che il carcere sia diventato una forma rilevante di punizione, ciò che egli propone è quello di meticolosamente i cambiamenti culturali che hanno condotto alla dominanza della prigione, concentrando la propria attenzione sul corpo e sulle domande di potere. La prigione è una forma usata dalle “discipline”, un nuovo potere tecnologico, che può ritrovarsi anche nelle scuole, negli ospedali, nelle caserme. L’articolo n° 27 della Costituzione Italiana nel suo significato di responsabilità penale e funzione rieducativa della pena, sancisce al 3 comma che “ le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Quindi la nostra Costituzione prevede che accanto all’aspetto punitivo della pena deve associarsi un aspetto rieducativo, reinserimento nella società civile, non punizioni corporali peraltro senza giustificato motivo.

Dott.ssa Santostefano Francesca – Sociologa