Applaudiamo all’inversione di tendenza che il Governo, soprattutto negli ultimi mesi, sta mostrando nei confronti del Meridione, anche grazie alla spinta della Comunità Europea che ha stabilito misure d’intervento e priorità per abbattere quel divario che pesa in maniera ormai determinante sullo sviluppo e la crescita dell’Italia intera.
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Ancora, però, siamo ben lontani dalla definizione di un quadro che stabilisca equità e perequazione in tutto il Paese, non siamo certo più di fronte a quei tentativi maldestri di continui proclami del tutto iniqui e sperequativi esercitati da una classe politica più attenta a soddisfare le richieste di una parte di popolo e di certi “leader”. Tuttavia, ora che l’allarme è stato lanciato, ciò impone un’assunzione di responsabilità, ai vari livelli istituzionali, ancora maggiore rispetto a quel 40%. I governi che si sono succeduti dal 2009 ad oggi hanno sottratto alla popolazione del sud 61 miliardi per ogni anno distorcendo, col meccanismo della spesa storica, il rapporto popolazione-spesa pubblica. In pratica, a fronte del 34,3% della popolazione meridionale, la spesa pubblica erogata è pari al 28,3% mentre a fronte del 65,7% della popolazione del centro-nord la spesa erogata, cioè le risorse ripartite, è del 71,7%. Sei punti di differenza che fanno 61 miliardi all’anno, a partire dal 2009, in attesa che venissero definiti i LEP ovvero quei livelli essenziali di prestazioni che devono essere uguali per tutti i cittadini da nord a sud, appunto perché ritenuti essenziali. Ecco perché non siamo per nulla soddisfatti di un semplicemente 6% in più, in quanto non determina i livelli essenziali delle prestazioni e di assistenza, così come resta indefinito il fondo perequativo per colmare le distanze tra i territori più ricchi e quelli più poveri. Tutto passa solo attraverso il riconoscimento del LEA e dei LEP! Pur apprezzando lo sforzo e le indicazioni che stanno muovendo le ultime azioni di governo, tutto ciò risulta essere un semplice contentino, sotto alcuni aspetti riduttivo alla luce di quello che in questi ultimi anni è emerso in maniera chiara e articolata ed è stato definito da più parti come “lo scippo” al Sud. Sino ad oggi sono stati sottratti, con dolo e inganno, risorse destinate agli asili nido dei bambini del Sud, agli anziani, al welfare in generale, ai trasporti e fermo restando che con 61 miliardi l’anno si poteva anche creare lavoro, investimenti, infrastrutture, benessere e sviluppo.
Il superamento e poi l’eliminazione della spesa storica passa attraverso l’attuazione dei fabbisogni standard, solo allora e in funzione di questo si erogheranno i soldi e non è un semplice gioco di alchimia fatta di percentuali.
Il divario si supera abbattendo differenze e distanze, diversità e disparità, mancanze e incompetenze. E per far ciò non è più necessario scomodare un certo meridionalismo di maniera o rivendicare pure azioni meridionaliste, basta guardare ed avere una visione e uno spirito unitario per definire e inquadrare quanto si è lasciato fare e quanto oggi va fatto per riconoscere, in termini di spesa pubblica, verità, giustizia e in un certo qual modo di risarcimento.
Ecco perché come Italia del Meridione non abbiamo che da continuare una battaglia iniziata già da tanti anni:
a) Superare il concetto della spesa storica, riferendosi alla capacità fiscale dei territori e togliendo risorse a chi ne ha di più e destinandole a chi ha di meno, attuando finalmente la parificazione dei diritti di cittadinanza sancita dalla Costituzione in materia di scuola, sanità, mobilità e infrastrutture.
b) Attuare la perequazione infrastrutturale, affinché gli investimenti pubblici infrastrutturali si facciano finalmente al Sud e le imprese delocalizzino qui impianti e ricerca.
c) Ricalcolare i fabbisogni standard di riferimento per una giusta ripartizione delle risorse.
Questi sono i fatti e da qui passano le azioni concrete atte a creare le condizioni di fondo affinché, il nostro, diventi un Paese migliore e più competitivo, attraverso una parificazione complessiva dei diritti, come già stabilito dai dettami costituzionali e una dimensione nazionale di mercato. Il resto, sono solo alchimie che servono a parlare alla pancia della gente, con buona pace dei populisti e dei sovranisti. Non bisogna guardare il dito, bensì la luna: il futuro del Paese passa dal riscatto del Sud.