Mar. Lug 16th, 2024

A Soriano, nel Vibonese, la manifestazione per ricordare l’assassinio di Filippo Ceravolo, vittima innocente della ‘ndrangheta, ucciso il 25 ottobre nel 2012 a soli 19 anni. Il papà Martino: «Chi lo ha massacrato oggi è libero di vivere la sua vita». Il sindaco: «Se ci sarà un processo il Comune sarà parte civile» 

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Il sole si affaccia timido sulla piazza di Soriano, piccolo centro delle Preserre vibonesi, e illumina i volti di tanti ragazzini che, almeno oggi, non hanno lo sguardo cupo e annoiato dei giorni di scuola. In mezzo ai jeans sdruciti e alle scarpe sportive si aggira una bimba che non arriva nemmeno al ginocchio dei suoi compaesani (solo un po’) più adulti. Non sta mai ferma, corre e parla la lingua sconosciuta dei bimbi della sua età mentre la sua giovane mamma prova a fatica a contenerne la vivacità. La piccola si chiama Martina, ha preso il nome del nonno e non ha mai conosciuto suo zio. Filippo infatti è morto prima che lei nascesse: nonostante avesse solo 19 anni oggi ricorre già il quinto anniversario della sua scomparsa. Lo hanno strappato alla vita i pallettoni della ‘ndrangheta, che nelle Preserre porta il marchio delle cosche Loielo ed Emanuele, contrapposte da anni in una guerra sanguinosa che ha lasciato sulla strada anche degli innocenti. Proprio come Filippo Ceravolo, ucciso a fucilate il 25 ottobre 2012 solo perché aveva chiesto un passaggio in auto a un conoscente, il vero obiettivo dei killer che invece, quella sera, uccisero un ragazzo d’oro che si divideva tra il lavoro di commerciante e la sua grande passione, il calcio.
Martina non sa ancora nulla di questa tragedia ma, mentre il sole fa capolino tra le sculture che costeggiano l’ingresso della biblioteca, sembra invece aver capito tutto. Sembra quasi cercare zio Filippo, che oggi campeggia sugli striscioni preparati per l’occasione dai ragazzi delle scuole di Soriano, Fabrizia e Mongiana. Martina regge proprio uno di quei cartelloni ed è lei, alla fine, la vera protagonista della giornata. Lei e i ragazzi che hanno dedicato a Filippo tante frasi che fanno brillare gli occhi a Martino e ad Anna, i genitori del 19enne riconosciuto vittima di mafia che, nonostante tutto, non si sentono soli. Tra gli studenti colpiscono le parole di Carmen Ciconte, Antonino Varì e Aurora Fatiga, così come dei più piccoli Gabriel Daffinà, Lidia De Nardo e Maria Ciconte.

Soriano in realtà non c’è. Complice la mattinata infrasettimanale, di gente comune in piazza se ne vede poca, ma i ragazzi comunque riempiono tutto il vuoto possibile e a Martino e Anna interessa solo questo, che siano loro a sapere, a capire, a partecipare. Così le loro parole, non solo di ricordo e di vicinanza ma anche di grande lucidità, riecheggiano nella piazza come un monito gentile.
Si intrecciano alle dure considerazioni di gente che non ha paura a chiamare le cose con il loro nome, come l’ex parlamentare e consulente della commissione Antimafia Angela Napoli. E come il referente regionale di Libera, don Ennio Stamile, che quasi grida: «L’omertà è un macigno. Chi sa qualcosa e non parla ha la stessa responsabilità morale degli assassini». Non è certo superfluo, poi, il contributo dei sindaci di Soriano (Francesco Bartone), Sorianello (Sergio Cannatelli), Gerocarne (Vitaliano Papillo) e del vicesindaco di Fabrizia (Andrea Pasqualino). Bartone fa anche un annuncio al Corriere della Calabria: «Il Comune di Soriano si costituirà parte civile in un eventuale processo contro gli assassini di Filippo». Angela Napoli invita a rendere l’impegno non solo a parole, ma nella realtà quotidiana e, soprattutto, quando le cerimonie finiscono e si spengono le luci di telecamere e flash. Poi c’è Rocco Mangiardi, imprenditore che ha avuto il coraggio di puntare il dito, nelle aule di Tribunale, contro capi e affiliati delle cosche lametine che da lui pretendevano il pizzo. É sorianese, Mangiardi, e sa bene quanto si tratti di un territorio difficile, che a volte è parso e pare impenetrabile a chi dovrebbe garantire verità e giustizia: «Non mi fanno paura i mafiosi – confida il testimone di giustizia – ma la troppa gente che vede, sente, e tace». Cammina al fianco di don Peppino Fiorillo, un prete antimafia che la realtà di questi paesi la conosce benissimo. Insieme marciano con i ragazzi verso un monumento che ha gli occhi di Filippo, e davanti a cui viene passato in rassegna il catalogo del dolore, l’elenco dei nomi delle troppe vittime di mafia, tante delle quali, proprio come Filippo, non hanno ancora giustizia.
Ma Martino non si arrende, i silenzi di sua moglie Anna, come gli occhi di Maria Teresa e di Giusy, gli danno la forza di continuare a lottare, a guardare in faccia ogni giorno il dolore, l’assenza. «Mai più bare bianche», grida in piazza tra gli applausi. Poi confida, stanco ma fiero: «È mio figlio che mi dà la forza di andare avanti. Me l’hanno massacrato, e chi lo ha fatto continua a vivere la sua vita, a provare gioie e soddisfazioni che lui non proverà mai». Intanto la nipotina lo ascolta, ride e si rimette a correre per la piazza. Il suo sorriso radioso è lo stesso dello zio, che oggi brilla sui poster e sulle magliette dei ragazzi di Soriano: «Il nostro caro angelo – dicono – per sempre uno di noi».

(fonte corriere della calabria)

 

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