Impietose considerazioni di Vito Perruccio ex Dirigente scolastico dell’ Istituto comprensivo di Siderno e attuale presidente dell’ Associazione culturale Museo della Scuola ” I Care” sulla Autonomia differenziata e principalmente sulla scuola e sulle sue necessità. “Non occorre, in verità, – dice Pirruccio – scervellarsi tanto su dati di riferimento per dimostrare la disattenzione storica della classe dirigente del Paese verso il Sud e, in particolare, verso la Calabria. Un semplice sguardo indagatore sullo stato di salute dei servizi al Sud basta e avanza per disintegrare, anche concettualmente, il ritorno “autonomista” della Lega e del suo Ministro Calderoli”.
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Quindi “A sostegno della tesi della rapina in atto nei confronti del Sud da parte della classe dirigente nazionale” aggiunge Pirruccio basta dare un’occhiata ai dati SVIMEZ delle scuole nel Mezzogiorno “che non beneficiano dei servizi mensa (In Calabria l’80%); degli alunni che accedono al Tempo Pieno (Solo il 18% degli alunni nel Sud); delle ore in meno di scuola frequentate dagli alunni del Mezzogiorno (Circa 200 ore in meno, su base annua, rispetto ai loro coetanei del Centro-Nord). Anche alla luce della lunga attività spesa nella scuola calabrese per 40 anni. I dati forniti sono veri e sacrosanti ma se letti nella loro giusta dimensione più che essere di sostegno alla legittima battaglia contro l’Autonomia Differenziata rischiano di indebolirla. Il Tempo Pieno formato ridotto al lumicino (18% degli alunni nel Sud) non è colpa ascrivibile né alla classe dirigente nazionale né ai seguaci di Alberto da Giussano. È colpa esclusivamente nostra, delle classi dirigenti meridionali, calabresi in particolare, del sindacato, del corpo docente e degli stessi elettori ignavi che vivono nel Sud. Idem per quanto riguarda i servizi mensa necessari per poter garantire il Tempo Pieno e le famose 200 ore annuali in più ai nostri ragazzi.
L’esperienza del Tempo Pieno è maturata sperimentalmente – dice Pirruccio facendo un pizzico di Amarcord – nell’ambiente riformista tosco-emiliano negli anni ’60, si è sviluppata nel resto del Centro-Nord negli anni ‘70 ed è stata codificata con la Legge n. 820 del 24 settembre 1971. Quando è stato introdotto il Tempo Pieno in Italia il Sud è rimasto al palo a guardare (e continua a rimanere al palo) per sua/nostra atavica miopia. I primi a boicottare il Tempo Pieno al Sud siamo stati i docenti. Eravamo noi (Mi inserisco senza colpa nella categoria) a non volerlo, perché ci faceva comodo lavorare solo di mattina e aver il pomeriggio libero. Lo hanno boicottato, senza dirlo in modo esplicito, i Sindacati i quali, per non perdere consenso tra gli iscritti (Dimostrazione lampante della valanga di boicottatori nelle file del personale scolastico) non hanno mai operato una battaglia sincera e convinta su questo terreno di civiltà. Le mense scolastiche (presupposto per avere il Tempo Pieno) non le hanno fornite e non le forniscono, come Dio comanda, gli Enti Locali, perché non sufficientemente sensibilizzati dalle stesse scuole dimostratesi complici del boicottaggio di cui sopra. La vera Scuola a Tempo Pieno (non quella mezza vera o mezza falsa in vigore, oggi, nelle nostre aule) e le mense scolastiche non le hanno volute e non le vogliono, di fatto, le classi dirigenti meridionali e calabresi, in particolare, perché basterebbe prevedere per la concessione dei relativi contributi ai Comuni da parte della Regione, come modestamente suggeriamo da tempo come sodalizio “I Care!”, l’obbligo della stipula di contratti triennali di fornitura dei servizi mensa dal primo all’ultimo giorno di scuola, per avere un servizio in linea con le altre aree del Paese. Nel momento in cui si avvia la formazione degli organici (siamo attualmente in tema), invece, cosa avviene? Laddove il Tempo Pieno viene richiesto, il Dirigente Scolastico allega alla pratica una semplice deliberazione di impegno generico da parte dell’Ente Locale il quale, come si può constatare andando di persona nelle singole scuole, si appropria, di fatto, della facoltà di avviare il Tempo Pieno a piacimento non rispettando, quasi mai, il vincolo temporale di inizio/termine delle lezioni (Per la Scuola Primaria almeno 200 giorni, per la Scuola dell’Infanzia fino al 30 giugno) e scoraggiando conseguentemente le famiglie ad aderirvi.
La povertà delle famiglie meno agiate esiste e nessuno lo nega. Ma, invece, di dissipare danaro pubblico (Vedi, di recente, la storia dei bonus pattini, vacanze, musica, concerti e chi ne ha più ne metta – discorso diretto allo Stato -) si attui una politica del welfare di prossimità coscienziosa e si badi alla serietà e alla concretezza e non al fumo negli occhi! Le famiglie povere hanno bisogno di servizi formativi e di crescita per i loro figli non di distrattori di massa! Le famiglie povere, quindi, hanno bisogno di servizi mensa, di libri, di più tempo scuola e non di progetti a go go tipo quelli che si stanno scorgendo, anche, con l’avvio del Pnrr nelle istituzioni scolastiche. Puntiamo a introdurre il Tempo Pieno diffuso come da linee guida europee, a costruire scuole a misure di bambini e non per accalappia progetti e vedrete che sono più che sufficienti gli stessi interventi messi, finora, a disposizione, anche, del Sud. Si parla di mettere in linea il Paese mediante la fissazione di LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Giusto! Ma in Parlamento i deputati meridionali abbiano il coraggio di proporre l’introduzione dell’obbligo del Tempo Pieno, per lo meno dall’Infanzia alla Scuola Media, su tutto il territorio nazionale. Avremmo, da subito, stesse opportunità da Nord a Sud attingendo a risorse già disponibili (vedi FIS e progetti contro la dispersione scolastica) e focalizzandole solo ed esclusivamente per assicurare più tempo scuola e basta.