Dopo il Tar anche il Consiglio di Stato in sede di appello ha respinto il ricorso presentato da 14 ex amministratori di Siderno, componenti della Giunta guidata dall’allora sindaco Pietro Fuda e del Consiglio Comunale, contro il decreto che il 9 agosto 2018 ha disposto lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, affidandone la gestione alla Commissione straordinaria tuttora in carica.
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I giudici della Terza sezione evidenziano che: la sentenza del Tar Lazio non è dunque viziata, come hanno affermato gli appellanti, per manifesta illogicità, «dovendo gli elementi posti a sostegno del provvedimento dissolutorio essere valutati nell’ottica del diritto della prevenzione cui la misura dell’art. 143 cit., per sua stessa finalità anticipatoria, appartiene e non già secondo il criterio della certezza raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, propria dell’accertamento penale».
«Il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale – rilevano sul merito i magistrati di Palazzo Spada – non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma di salvaguardia dell’amministrazione pubblica, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. Nella relazione prefettizia – si legge ancora – si fa altresì riferimento agli atti di intimidazione posti in essere a carico di esponenti del Partito democratico, in particolare a danno di Pierdomenico Mammì, che ha poi rinunciato alla candidatura alla carica di sindaco, e di Giorgio Ruso, eletto nella lista a sostegno del sindaco Pietro Fuda, ma poi passato all’opposizione e dopo allora destinatario di un atto di intimidazione con l’incendio dell’auto all’interno della sua proprietà. Tali episodi dimostrano che la criminalità organizzata locale era attenta alla vita politica e ostile alla (sola) opposizione».
«Il Collegio ritiene sufficienti tutti gli elementi sopra descritti a supportare il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di Siderno – si legge – dovendo concludersi che è logico attribuire ad essi un disvalore sintomatico idoneo ad integrare i presupposti richiesti».
In definitiva: «Rileva il Collegio che gli stessi sono da soli sufficienti a supportare la decisione di applicare la misura di rigore prevista dall’art. 143, t.u. n. 267 del 2000, rappresentando lo scioglimento del Consiglio comunale la risultante di una complessiva valutazione il cui asse portante è – come si è già detto – costituito, da un lato, dall’accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata; dall’altro, dalla carente funzionalità dell’ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero da una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica. Il che legittima l’intervento statale finalizzato al ripristino della legalità ed al recupero della struttura pubblica ai propri fini istituzionali, attività che deve essere valutata con riguardo al momento storico e al vissuto, allora esistente, rispetto ai quali elementi i fatti sintomatici o presuntivi si erano colorati». (fonte Rocco Muscari GDS)
Fuda: la Corte europea ci restituirà la dignità
«Nessuna sorpresa, il nostro destino era già segnato: basta un semplice sospetto per dire che la Locride è ndrangheta. Il nostro appello – commenta Pietro Fuda – aveva alla base la necessità di creare elementi per andare alla Corte Europea, per avere almeno giustizia morale. La mia amministrazione – continua – non ha avuto nulla a che vedere con la ‘ndrangheta e non si può condannare una città solo su sospetti o illazioni senza fondamento. Ecco perché spero che, seppure attraverso la Corte Europea ci venga restituita la nostra dignità. Comunque la sentenza sarà utilissima per il legislatore ai fini della modifica della legge sullo scioglimento dei Comuni perché chiarisce quali sono i confini tra volontà del legislatore e reale interpretazione della legge». (a.b.)
SERVIZIO DI ARISTIDE BAVA