Le videocamere di sorveglianza potrebbero aver ripreso gli autori degli slogan contro gli «sbirri». Il sindaco: «Non c’è lavoro? La colpa è della ‘ndrangheta»
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I misteriosi writers di Locri potrebbero non rimanere anonimi a lungo. Chi in questi giorni è stato infastidito dalla presenza e dalle parole dei tanti che alle mafie hanno detto “No” proprio nel paese che è conosciuto come una delle loro principali capitali, e che ha voluto manifestarlo con maldestre scritte sui muri, ha fatto un errore. Per vergare quelle scritte è passato bellamente sotto l’occhio attento di una videocamera di sicurezza i cui filmati sono già in mano ai carabinieri. Toccherà a loro scoprire chi siano gli autori, ma soprattutto se e in che misura siano stati ispirati da qualcuno. I messaggi apparsi a Locri non hanno sporcato muri scelti a caso. E non sono stati scritti con un linguaggio scelto a caso.
Per alcuni, in Calabria “sbirri” è un insulto. E tali sono tutti quelli che alle mafie dicono no: giornalisti, magistrati, politici, imprenditori che denunciano, associazioni. E sono loro – raccontano i clan – a sottrarre lavoro a una terra martoriata sequestrando e confiscando i beni della ‘ndrangheta. Un mantra sintetizzato a bomboletta sulle pareti esterne del centro di aggregazione giovanile, quasi a voler dire “nostri sono i giovani”, sul muro che generalmente ospita la propaganda elettorale, magari per affermare “nostra è la politica”, accanto alla porta principale dell’Arcivescovado, forse per rivendicare “nostra è la Chiesa”.
(Il sindaco di Locri Giovanni Calabrese)
La lettera con cui il vescovo di Locri, monsignor Francesco Oliva ha rispedito al mittente offerte in odor di ‘ndrangheta è un affronto che ancora brucia a Locri, come uno sgarbo è stato considerato il rinvio a giudizio per violazione della Legge Anselmi aggravata dall’aver favorito la ‘nrangheta, di don Pino Strangio, ultraventennale canonico di Polsi, “dimissionato” secondo alcuni, dimessosi secondo altri. Ancora più gravi sono suonate alle orecchie di alcuni le parole nette con cui il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, proprio a Locri, rivolgendosi ai mafiosi ha detto: «È inutile che vi mettiate in processione, che portiate le statue, che facciate offerte, il Santo Padre proprio qui in Calabria su questo è stato chiaro, chi sceglie la mafia è fuori dalla comunità dei credenti». E forse la ‘ndrangheta ha risposto, o ha indotto qualcuno a rispondere per lei.
«Qualcuno si lamenta strumentalmente del fatto che non ci sia lavoro – dice il sindaco Giovanni Calabrese – ma bisognerebbe andargli a chiedere di chi sia la colpa. Se nessuno vuole investire in questo territorio è perché Locri è conosciuta in tutto il mondo non per le sue bellezze archeologiche e culturali, non come la città di Zaleuco, ma come città di ‘ndrangheta, teatro di faide sanguinose. E la colpa di chi è se non della ‘ndrangheta stessa?».