Maria Chindamo, l’imprenditrice scomparsa il 6 maggio 2016 davanti alla sua tenuta agricola a Limbadi, sarebbe stata uccisa nell’ambito di uno “specifico interesse del clan Mancuso all’acquisizione dei terreni” della donna, “circostanze che unite insieme costituiranno proprio la base in cui è maturato l’omicidio di quest’ultima”. La circostanza emerge dal provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro ed eseguito il 10 maggio scorso nei confronti di presunti boss e affiliati a cosche di ‘ndrangheta del vibonese nell’operazione Maestrale-Carthago. Il controllo dei terreni della zona, secondo l’accusa, sarebbe stato demandato a Salvatore Ascone, già indagato dalla Procura di Vibo per la vicenda della sparizione dell’imprenditrice originaria di Laureana di Borrello. Ascone figura tra gli arrestati dell’operazione Maestrale-Carthago ma con altre accuse e non per la scomparsa della donna. Per quest’ultimo reato era stato arrestato nel luglio del 2019 per concorso in omicidio e poi rimesso in libertà una ventina di giorni dopo dal Tribunale della libertà di Catanzaro che aveva annullato l’ordinanza.
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Decisione poi confermata dalla Cassazione nel gennaio 2021. Nel decreto di fermo, gli inquirenti riportano le parole di tre collaboratori di giustizia: Emanuele Mancuso, Andrea Mantella e Antonino Belnome, che contribuiscono “a fare chiarezza sulla figura di Salvatore Ascone”, sul contesto criminale della zona ed anche sullo “specifico interesse della famiglia Mancuso nell’acquisizione dei terreni di Maria Chindamo”.
Inoltre viene riportata la circostanza che il marito della donna, Ferdinando Punturiero – morto suicida l’8 maggio 2015 – aveva segnalato a un carabiniere che il vicino di terreno, Ascone, aveva chiesto l’utilizzo di una stradina interpoderale che passava sui loro terreni – dei Chindamo-Punturiero – per raggiungere il fondo posto alle spalle degli stessi. Dall’inchiesta Maestrale-Carthago è emerso l’inserimento di Ascone “nella struttura criminale presente a Limbadi in cui opera da tempo la cosca Mancuso e la porzione di territorio della località Montalto e limitrofe è oggetto di una coesistenza di interessi delle strutture criminali operanti sia a Limbadi (Mancuso) sia a Rosarno (Bellocco-Cacciola)”. All’uomo, secondo quanto riferito dal pentito Emanuele Mancuso, nipote di Diego e figlio di Pantaleone Mancuso alias “l’ingegnere”, sarebbe stato affidato il controllo criminale della località “Montalto” dove lo stesso si sarebbe occupato di acquisire “i proventi estorsivi dalle compravendite dei terreni e di gestire con metodologie mafiose quella porzione di territorio nonché i rapporti con i relativi proprietari”.