Gio. Nov 21st, 2024

Il leghista atipico Dario Fruscio continua a portare avanti la sua “crociata” «contro le caste di ogni specie e derivazione». Tra i richiami alla militanza cattolica e la voglia di confrontarsi con tutti

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Dario Fruscio, il professore calabrese che sussurrava ai leghisti, appare divertito dalle reazioni che la sua iniziativa in Calabria sta suscitando. Spedito nelle Calabrie da Matteo Salvini, continua a radicare nel suo territorio l’intenzione di essere sempre più pietra d’inciampo per l’ortodossia politica locale. Da una parte il richiamo alla militanza cattolica, dall’altra il suo essere un leghista atipico e al centro la voglia di confrontarsi con tutti, disponibile a una raccolta di forze esterne (e non necessariamente politicamente omogenee) pur di rompere lacci e laccioli della politica “familistica” che ammorba la Calabria.

Viene voglia di riprendere la nostra conversazione muovendo dal punto finale del precedente nostro incontro. Lei avvertiva che far parte dell’idea e dell’azione della Lega a trazione Matteo Salvini in tema di Mezzogiorno postula la necessità che le popolazioni del Sud del Paese facciano abiura nei confronti del ceto politico che occupa le istituzioni a prescindere dalle legittime e sacrosante aspettative delle popolazioni meridionali. Non le pare che l’abiura della vecchia classe dirigente da una parte e il postulato dell’inclusività dall’altra, rappresentino una contraddizione in termini?
«Seguire il pensiero, il progetto, l’azione del segretario federale della Lega riguardo al suo revisionismo meridionalista, non potrà che implicare l’aversi di due condizioni. Da un lato, un sicuro e forte entusiasmo di lasciarsi prendere i popoli meridionali dal disegno politico del giovane leader del nord; dall’altro lato e conseguentemente, il seguire Salvini non potrà che corrispondere ad una radicale scelta di campo: verso di lui e con lui. Ma, attenzione, non scelta fideistica, ma cosciente e consapevole che con Salvini equivale dire contro le caste di ogni specie e derivazione; contro il parassitismo in politica e della politica; con lui contro la peculiare piaga calabrese (in particolare) delle dinastie familistiche e parentali. Inclusività, quella dell’idea salviniana, che non prescinde da selettività. D’altronde v’è matura e meditata consapevolezza in Salvini e in quanti operano con lui che non è dato immaginare storicamente, né come dato di sociologia politica, che nel giro di poco tempo si possa passare da un regime fondato sulla mala politica ad un suo esatto opposto. Ciò che il progetto salviniano presuppone non è un frenetico, massivo esercizio di cambio di colori e di casacche verso il nuovo soggetto politico salviniano. Proprio no. Ciò che tutti noi dobbiamo riporre nelle nostre menti è che ciò cui dobbiamo essere capaci di fare è l’avviare un processo di cambiamento in ordine al modo personale e collettivo di essere della politica e per la politica. Di rifondarla la politica, applicandovisi dal basso, personalmente e collettivamente. E così, rifondandola progressivamente e facendo “inclusività” successiva anche di quanti indottisi a lasciarsi convertire alla nuova politica».

Apprezzo il suo sforzo di rappresentazione del divenire della politica nel Mezzogiorno e in Calabria. Mi faccia dire, però, che nella situazione attuale per avere un nuovo corso la politica abbia bisogno di più parti in causa. Penso al concorso delle istituzioni culturali locali e non; al contributo delle associazioni socialmente impegnate; alle strutture un tempo collaterali al mondo della politica, a quello del lavoro e delle organizzazioni sindacali, ai settori delle varie attività produttive…
«Su tutte tali istituzioni, ambiti e poteri, mi lasci dire che il “silenzio più silenzioso” sulla “Questione meridionale” e sul risveglio di attenzione politica riposta da Salvini su di essa, è quello proveniente dai media, sia nuovi che tradizionali. Un assordante silenzio soltanto mitigato dalla voce del giornale online che lei dirige. Sono speranzoso, però, che il contributo di attenzione sul progetto Salvini possa risvegliare i media calabresi e così promuovere attenzione sull’idea salviniana da parte di tutte le componenti rappresentative del tessuto socio-politico-culturale calabrese».

Comunque va chiarito se l’intuizione salviniana muova come compensazione storica, oppure se il progetto della Lega sia motivato da ragioni di un recente passato. In funzione di tali motivazioni andranno adottati strumenti e metodologie tali da rendere percorribile il percorso di rimozione della “Questione meridionale”.
«È proprio come lei dice. In effetti Benedetto Croce nella sua “Storia del Regno di Napoli” situa lo sbilanciamento storico fra le due Italie al XIII secolo, riconducendola alla frattura dello Stato normanno-svevo e alla susseguente contrapposizione fra l’originario Regno di Napoli e l’aragonese Regno di Sicilia. Detto questo, v’è da dire che la Lega piuttosto che interessarsi alla “Questione” in chiave di esegesi storica ha ritenuto più interessante partire dalla considerazione che le politiche dei governi post unitari, compresi quelli più recenti dell’epoca repubblicana, siano state fortemente pregiudizievoli allo sviluppo del Mezzogiorno. Da qui, da tale dato storico, muove l’interesse della Lega a trazione Salvini. Invero, saltando una ricognizione delle origini pre unitarie delle differenze Nord-Sud, pare vada considerato che dal 1861 la linea dello sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno sia stata tendenzialmente ondivaga. In una prima fase, dal 1861 al 1887, la condizione economica del Sud non perde terreno rispetto al Nord, anzi è propulsivo dello sviluppo capitalistico del Paese. Segue una seconda fase dal 1887 alla fine della seconda guerra mondiale, in cui la situazione del Mezzogiorno migliora, la sua economia resta pressoché totalmente agricola, mentre al Nord prende il via un’industrializzazione diffusa: il dualismo ha configurazioni senza precedenti in termini sia di Pil che di valore della produzione. In epoca successiva, non considerabile il periodo del ventennio fascista in quanto il regime giunto perfino a dichiarare che la “Questione meridionale” «poteva ritenersi risolta», si arriva al periodo democratico-repubblicano. Non è quella dell’intervista la sede più idonea per esporre analisi e considerazioni dettagliate del processo di sviluppo inerente il riequilibrio territoriale del Paese. In via di sintesi giova considerare, però, che in oltre 150 anni il Sud ha fatto dei passi avanti nel suo insieme e tuttavia, tuttora, stando ai principali indicatori economici e sociali, il Mezzogiorno non solo è rimasto in arretrato in fatto di sviluppo e crescita, ma, negli anni a noi più recenti, ha ripreso a perdere terreno rispetto sia al Centro-nord, sia, ancor più, rispetto all’Europa, fuorché la Grecia».

È convinto del «revisionismo» salviniano e lo sostiene con forza e con passione. Però molte perplessità permangono…
«Convengo che la vicenda del Meridione debba uscire dal cliché del racconto a puntate. Un racconto fatto di poche pagine in chiaroscuro e per tutto il resto di pagine di impegni mancati; di propositi vergati su piani e programmi rimasti al palo; di speranze puntualmente tralignate in delusioni, amarezze e disagi sociali e umani – particolarmente pesanti e preoccupanti nei giovani – sempre più privi di lavoro. Per tutto questo, mi piace immaginare che il revisionismo di Salvini nei confronti del Meridione e dei meridionali possa essere d’inizio rasserenamento per le popolazioni del Mezzogiorno».

Però a questo punto la situazione è talmente complessa da far ritenere che il suo superamento non sia soltanto questione di fondi pubblici da impegnare, quanto di una classe politica su cui poter contare per una prospettiva di cambiamento. Ora, se è evidente che tale processo di riscatto debba passare per la rimozione dell’attuale classe dirigente e dei suoi metodi clientelari e familistici, è altrettanto vero che un politico come Salvini non possa pensare di cimentarsi in questa impresa con al fianco lei e qualche altra risorsa d’eccellenza…
«Non vorrei sembrarle eccessivo, però mi lasci dire che Salvini è consapevole che le popolazioni meridionali sanno bene che lui può contare su risorse politiche d’eccellenza; su una classe amministrativa avveduta e competente; su un variegato ceto professionale d’avanguardia; su un vero e proprio collateralismo scientifico dell’accademia universitaria e d’altre ispirazioni…».

Bene, allora le chiedo: perché Salvini non parla ai calabresi oltre che direttamente, anche mediante il patrimonio di risorse di cui lei parla? «I calabresi vogliono essere parlati» scriveva Corrado Alvaro, ma “parlati” da chi riesce ad ottenere la loro fiducia. Senza questa consapevolezza né Salvini né lei riuscirete ad essere di utilità. Altri, semmai, vestendosi delle penne del pavone, potranno trarne qualche illusorio vantaggio personale. E poi non ha la sensazione che a livello di Governo nazionale ci sia in queste ultime settimane qualche nuovo sussulto di attenzione verso il Mezzogiorno?
«Quest’ultima interlocuzione merita di essere riscontrata con altrettanta profondità in altra sede. Nel frattempo poniamo l’orecchio per terra nel tentativo di captare nei brusii seguiti agli esiti dei referendum nel “lombardo-veneto” quali gli eventuali cambiamenti di umori e di orientamenti che potrebbero incoraggiare o (incautamente) indebolire l’intesa in formazione fra il leader della Lega e le popolazioni del Sud del Paese.

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