Il 33% dei componenti dell’assemblea regionale è sottoposto a indagini della magistratura. Quello di Salerno è solo l’ultimo caso. Nel campionario ci sono i reati più diversi. È una storia che si ripete dall’epoca di Loiero e Scopelliti.
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Inquisiti, inquisiti ovunque. Il consiglio regionale si conferma per quello che è: il centro di accoglienza di politici indagati o imputati per i reati più diversi. Dall’abuso d’ufficio al voto di scambio mafioso, dalla corruzione elettorale al peculato, dal falso in atto pubblico all’associazione a delinquere: attualmente sono 10 su 30 gli eletti del parlamentino regionale messi nel mirino dalla magistratura. Un terzo dell’assemblea, il 33% degli eletti. Se non è record, poco ci manca.
Non è una novità per Palazzo Campanella, già balzata agli onori della cronaca nelle passate legislature (soprattutto in quelle di Loiero e Scopelliti) per le presunte o conclamate performance criminali dei suoi rappresentanti.
L’arresto di ieri di Nazzareno Salerno è solo l’ultimo capitolo di un romanzo che negli ultimi anni non ha mai lesinato colpi di scena e finali neanche troppo a sorpresa per chi conosce la storia della politica regionale. Perché si parla di arresti, di perversi legami con la ‘ndrangheta, di truffe ai danni di poveri e disoccupati, di tracotanza del potere che divelle le regole della burocrazia.
IL CASO SALERNO Forse, però, il caso Salerno segna uno spartiacque e un punto di non ritorno: la politica che si fa beffe dei bisogni degli ultimi per arricchirsi e arricchire ulteriormente quegli stessi clan principali responsabili dell’impoverimento di un’intera regione. I picciotti sempre più potenti, i calabresi sempre più in ambasce: è un rapporto di causa-effetto, l’applicazione sociologica del principio dei vasi comunicanti.
L’ex assessore regionale, principale indagato nell’inchiesta “Robin Hood”, è accusato di minaccia ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, corruzione, peculato, turbativa d’asta e abuso d’ufficio, presunti reati a cui si aggiunge anche quello di voto di scambio per aver chiesto l’appoggio elettorale al clan Vallelunga alla vigilia delle regionali 2010. Un film già visto, quello della contiguità tra mafia e politica, sempre finalizzata all’elezione di un uomo di fiducia – intraneo o esterno alle cosche – nelle istituzioni allo scopo di muovere le leve del potere e di indirizzare soldi e appalti agli “amici degli amici”. È, invece, forse quasi inedita la spregiudicatezza nella gestione privatistica dei fondi comunitari, in questo caso quelli destinati al Credito sociale, una misura studiata per andare incontro alle difficoltà dei calabresi meno abbienti e impossibilitati a pagare le bollette della luce o a trovare una nuova casa dopo uno sfratto.
GLI ALTRI INDAGATI Nelle stesse ore in cui Salerno finiva in manette, un altro Tribunale, il Riesame di Catanzaro, vagliava la posizione di un esponente della maggioranza in Consiglio, Orlandino Greco. Per il capogruppo di “Oliverio presidente”, ex consigliere provinciale cosentino ed ex sindaco di Castrolibero, la Dda di Catanzaro aveva chiesto l’arresto, negato dal gip, per via del presunto appoggio ottenuto dalla cosca Bruni in occasione di diversi appuntamenti elettorali in un periodo di tempo compreso tra il 2003 e il 2013.
Lo scorso dicembre nel registro degli indagati è finito anche un altro capogruppo d’opposizione, Francesco Cannizzaro. Secondo la Distrettuale di Reggio Calabria, la cosca Paviglianiti di San Lorenzo si sarebbe adoperata per la sua elezione in Consiglio. Il rappresentante della Casa delle libertà – scrivono gli inquirenti – avrebbe promesso al clan «utilità di vario tipo, consistenti nella disponibilità, una volta eletto, a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa».
ABUSI Ci sono poi i presunti abusi legati all’esercizio del potere. È il caso dell’attuale vicepresidente dell’Astronave, più volte assessore regionale e indiscusso signore dei consensi in provincia di Cosenza, Pino Gentile. Per lui è già stato disposto il rinvio a giudizio nell’ambito della vicenda che riguarda l’annullamento di un bando di concorso per la realizzazione di alloggi di edilizia sociale. Le accuse sono di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico.
L’Ufficio di presidenza del Consiglio “vanta” anche un altro imputato e un altro indagato. Il primo è il segretario-questore Giuseppe Graziano, a processo (con rito abbreviato) nell’ambito dell’inchiesta sul Parco eolico “Wind farm” di Isola Capo Rizzuto, sequestrato nel luglio del 2012. Il fondatore del movimento “Il coraggio di cambiare l’Italia” all’epoca dei fatti era uno dei componenti del Nucleo di valutazione ambientale. L’indagato è invece Francesco D’Agostino, vicepresidente dell’assemblea al momento “autosospeso”. Il suo nome è finito nelle carte dell’inchiesta “Alchemia” contro i clan Raso-Gullace-Albanese: per i magistrati è «una delle pedine di cui si servivano i clan per portare a termine i loro affari».
Di diverso tenore l’accusa nei confronti del consigliere d’opposizione Mimmo Tallini, per il quale la Procura di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio in seguito all’inchiesta “Multopoli”. Il coordinatore provinciale di Forza Italia, all’epoca dei fatti assessore regionale e comunale in carica, con il maggiore tenente colonnello della polizia municipale Salvatore Tarantino, avrebbero indotto un vigile ad «annullare indebitamente, sia perché in assenza di alcuna motivazione, sia perché una eventuale autorizzazione “regionale” alla sosta in possesso del Tallini non facultava il parcheggio in zona rimozione», due contravvenzioni di 41 e 84 euro elevate nei confronti dello stesso politico.
RIMBORSOPOLI L’opera omnia della magistratura, ovviamente, è Rimborsopoli, l’inchiesta che ha svelato il modo in cui i consiglieri regionali della Calabria avrebbero scialacquato i fondi destinati ai gruppi. L’indagine è partita nella scorsa legislatura e coinvolge anche politici che o non si sono ricandidati o non sono stati rieletti. Limitiamo il campo a quelli in carica tutt’oggi. Sono entrambi del Pd: Carlo Guccione e Antonio Scalzo. Per loro e tanti altri ex (Bruno Censore, Demetrio Battaglia e Ferdinando Aiello, Giovanni Bilardi, Agazio Loiero, Nicola Adamo, Giovanni Nucera, Pasquale Tripodi, Alfonso Dattolo, Alfonsino Grillo, Giuseppe Bova, Emilio De Masi, Domenico Talarico, Sandro Principe, Pietro Amato, Mario Franchino, Mario Maiolo, Francesco Sulla, Candeloro Imbalzano) la Procura di Reggio ha chiesto il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 9 febbraio. Per gli ex assessori Nino De Gaetano e Luigi Fedele, invece, il processo con rito immediato è già iniziato.
Per tutti i consiglieri nei guai con la giustizia si tratta in ogni caso di accuse pesanti che comunque dovranno essere confermate in sede di giudizio. Per il momento resta il preoccupante dato politico e numerico.
IL PASSATO (CHE NON PASSA) Sembra che nulla cambi, sotto questo versante. Tutti ricordano ancora come fu battezzato Palazzo Campanella durante la legislatura di Agazio Loiero: era il “Consiglio degli inquisiti”, quello di cui faceva parte, tra gli altri, anche il condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa Mimmo Crea. Ed è ancora troppo vicina nel tempo la legislatura 2010-2014, quella che ha spalancato le porte del carcere a Santi Zappalà (corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose), Franco Morelli (concorso esterno in associazione mafiosa) e Antonio Rappoccio (corruzione elettorale aggravata). Senza contare la sfilza degli altri indagati, di centrodestra e centrosinistra, per i reati più disparati. A contarli si arriva a un totale di 17 sugli allora 50 componenti. E dal computo sono esclusi gli inquisiti in Rimborsopoli. Farci una percentuale sarebbe troppo complesso.