Mer. Lug 17th, 2024

Reggio Calabria, la città discute sull’immigrato che nel weekend ha destato scandalo perché nudo in spiaggia sul Lungomare. Ma dovrebbe essere il Comune ad intervenire sull’Associazione che ha il compito di “proteggerlo”.

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A Reggio Calabria si infiamma il dibattito sul ragazzino africano che nel weekend bazzicava completamente nudo sul Lungomare, in spiaggia, senza mutande ne’ costume. Le fotografie hanno fatto il giro del web e ad una prima ondata di commenti “di pancia”, pubblicati dai cittadini più tipicamente “social” che hanno sfogato la loro rabbia andando spesso e volentieri a sfociare in imbarazzanti derive razziste, sono seguite poi le riflessioni di molti radical chic con articoli di giornale, commenti e riflessioni “sull’ipocrisia del perbenismo” e su assurde similitudini “questo no e la ‘ndrangheta sì, questo no e la droga sì” (ma che c’entra?). Due estremi opposti, probabilmente entrambi altrettanto aberranti, di affrontare quello che è un problema serio: la civiltà del nostro Paese e l’emergenza immigrazione.

L’articolo 726 del Codice Penale vieta “atti contrari alla pubblica decenza in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico“: numerose sentenze hanno annoverato tra questi “atti contrari alla pubblica decenza” anche il semplice “aggirarsi nudi in luogo pubblico“. Ma ovviamente, nel caso specifico, il discorso va ben oltre. Non è soltanto un problema di codice penale. In base ai principi e valori del nostro Paese, nessuno si sognerebbe di andare in spiaggia o in giro senza costume. Esistono appositamente le spiagge nudiste in cui è possibile farlo; il Lungomare di Reggio Calabria non rientra tra queste.

Ovviamente, il problema non è certo di quel ragazzino. Il problema è di come l’Italia e le istituzioni del nostro Paese stiano gestendo l’emergenza immigrati. Il Ministero ha istituito lo SPRAR, cioè il “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati“. Gli enti locali (Regioni, Province, Città Metropolitane, Comuni) lo attivano utilizzando i soldi messi a disposizione dal ministero dell’Interno attraverso il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Con questo strumento, vengono assegnati contributi in favore degli enti locali che si occupano di accogliere i richiedenti asilo, rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria. Gli immigrati, insomma. A Reggio Calabria stanno arrivando tanti soldi per “proteggere” gli immigrati. Un vero e proprio business. Il business degli enti locali in questi tempi di crisi. Il Comune filtra questi soldi concedendoli ad organizzazioni e associazioni che hanno il compito di avviare progetti volti ad inserire questi disperati nella nostra società civile.

Ecco, lasciarli allo sbaraglio nudi sulla spiaggia principale della città ci sembra il modo peggiore per un’integrazione che funzioni. Non è il primo caso. Già ad Archi un intero quartiere si ribellava di fronte agli immigrati che camminavano nudi in strada, o si facevano la doccia in pubblico. “A casa loro fanno così“, appunto. Ma qui non siamo a casa loro, e in Italia non funziona così. Ben venga l’integrazione, ma ovviamente basata sulle conquiste della civiltà che il nostro Paese ha ottenuto con fatica nel corso dei secoli. In Italia non si va in giro nudi, non ci si fa la doccia per strada, non si cammina in spiaggia senza costume. E questi ragazzini non possono neanche saperlo: per loro è normale così. Ma gli organismi che sono tenuti a “proteggerli” ed “integrarli”, e che vengono pagati con i soldi dei contribuenti per farlo, hanno il dovere di spiegarglielo. Di imporglielo. Ben venga un immigrato che sbarca, studia, lavora, si arricchisce onestamente, costruisce fortune, ha successo. Ben venga un medico, un giurista, un amministratore, un Presidente della Repubblica che realizza il sogno di una popolazione partendo da uno sbarco in un porto di periferia dopo un viaggio della disperazione con la morte vista in faccia. Ma è chiaro che il primo passo dell’integrazione è il rispetto, la condivisione e l’adesione di quei valori fondanti del nostro Paese e della nostra civiltà. In Italia, ovviamente, ciò che è vietato agli italiani, è vietato anche agli stranieri. Così come si pretende (giustamente, e guai a metterlo in discussione!) che ogni straniero abbia gli stessi diritti di un italiano, allo stesso modo si deve pretendere che ogni straniero rispetti le regole allo stesso modo di come ogni italiano è tenuto a fare nella sua quotidianità. Altrimenti il razzismo diventa razzismo al contrario. E la conseguenza è che negli italiani continua a montare la rabbia che alimenta la guerra tra poveri che ogni giorno siamo costretti ad osservare.

L’epilogo della triste vicenda reggina sarebbe molto semplice: il Comune dovrebbe immediatamente individuare l’Associazione che avrebbe dovuto “proteggere” e gestire quel ragazzino, per revocare immediatamente ogni tipo di autorizzazione per questo tipo di (lucrosa) attività. Attendiamo che l’Amministrazione di Falcomatà batta un colpo in tal senso.

(fonte StrettoWeb)

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