Mer. Lug 17th, 2024
SIMBOLICA GIUSTIZIA AGENZIA BETTOLINI (Agenzia: DA RACHIVIO) (NomeArchivio: PAV-G1ig.JPG)

Il 14.04.2010 veniva commesso in Lazzaro un selvaggio omicidio nei confronti dell’ottantenne Liuzzo Giuseppe. Il pensionato era stato ritrovato, il giorno seguente, all’interno della propria abitazione, riverso a terra e con il cranio fracassato da molteplici colpi causati da un’arma contundente. Lo scenario che appariva ai primi inquirenti era a dir poco sconvolgente. L’anziano presentava il cranio fracassato in più parti colpito da un’arma pesante e consistente, rimasta, tuttavia, sconosciuta. Molteplici sono stati punti oscuri che non lasciavano intravedere una soluzione alla tragedia. L’anziano, infatti, aveva da poco tempo venduto un terreno per ripianare, col ricavato, una posizione economica che successivamente alla sua morte, avrebbe dovuto lasciare in parità di posizione i figli. Le prime indagini degli inquirenti, non avevano portato alla luce niente di rilevante. L’arma del delitto non era stata ritrovata, nessuna impronta latente era riconducibile ad alcuno, anche il movente appariva nebuloso. Era stata accertata la presenza di una persona, in un orario compatibile con la morte nei cui confronti, tuttavia, gli inquirenti non avevano rinvenuto elementi. Infatti le indagini furono indirizzate dal Mar.llo Gambina verso l’ipotesi omicidiaria riconducibile ad un movente legato a contrasti economici tra i figli del defunto per ragioni attinenti alla futura eredità. Si parla ovviamente di poche cose, prive di valore economico, e cioè di una sistemazione, mediante usucapione, di due case, costruite da due figlie su terreno della madre. Tale rilievo è stato valorizzato dai CC che hanno condotto le indagini in senso monodirezionale nei confronti della figlia Liuzzo Filomena e del di lei marito Zampaglione Filippo. L’autopsia aveva accertato che l’ora del decesso doveva essere collocata tra le 21,00 e le 22,30 del 14.04.2010. Attraverso un sistema di diffusione delle onde radio riguardante il cellulare in uso alla famiglia Zampaglione-Liuzzo, i Carabinieri davano un’interpretazione secondo cui successivamente gli imputati si trovavano sul Lungomare di Lazzaro nei pressi della casa della vittima. Gli stessi venivano quindi rinviti a giudizio dal GUP ove i parenti della vittima hanno chiesto, tuttavia, il proscioglimento degli imputati, in quanto non li convinceva la tesi accusatoria prospettata dai Carabinieri. Tutti i parenti avevano sempre sospettato di un’altra persona, quale autore del delitto.

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La Corte di Assise di Reggio Calabria (Presidente Pastore, giudice a latere dott.ssa Borselli) tuttavia, adagiandosi sulle argomentazione prospettate dagli inquirenti (PM dott.ssa Amerio e dott. Musolino), ha condannato in primo grado i coniugi Zampaglione-Liuzzo all’ergastolo, ritenendo che l’elemento indiziario relativo al funzionamento delle celle telefoniche e dei tabulati, per come illustrate dal Mar.llo Gambina, all’epoca vice comandante della stazione di Melito, costituisse una prova inconfutabile e certa della colpevolezza degli imputati. Avverso tale sentenza hanno proposto appello l’Avv. Michele Miccoli difensore di Zampaglione Filippo e l’Avv. Antonio Foti difensore di Liuzzo Filomena. I motivi di appello sono stati molteplici con oltre quindici censure in diritto ed in punto di fatto. I difensori hanno lamentato la violazione del diritto di difesa e dell’equo processo nonché l’erronea e falsa applicazione delle norme regolatrici del procedimento indiziario, rilevando in particolare che i giudici di primo grado avevano emesso una sentenza che non teneva conto della manifesta erroneità della lettura dei tabulati e del funzionamento delle celle telefoniche prospettate, e che erano prive di valenza scientifica, per cui veniva meno il presupposto del fatto certo in forza del quale i giudici di primo grado erano giunti ad affermare la loro responsabilità. E’ quindi stata lamentata la violazione del diritto di difesa sulla mancata ammissione di una consulenza tecnica finalizzata ad accertare quanto sostenuto dai difensori per cui gli accertamenti eseguiti dal Maresciallo Gambina che erano destituiti di serio fondamento tecnico e quindi giuridico. Inoltre l’Avv. Miccoli ha rilevato che proprio gli elementi afferenti all’orario del decesso dovevano condurre ad individuare un diverso orario della morte riconducibile antecedentemente a quello ipotizzato in un primo momento dal medico che aveva redatto l’esame autoptico. Dura è stata la critica rivolta al CTU medico da parte dell’Avv. Miccoli che durante l’esame gli ha contestato il ritrovamento del “bolo”, cioè la prima fase della digestione, per cui l’orario del decesso doveva essere retrodatato di quasi un’ora. Infine veniva prodotto un’intercettazione telefonica dal quale si evidenziava che la persona che vide per ultimo il defunto Liuzzo, veniva accusato quale autore dell’efferato delitto proprio dalla sua compagna.

La precisione delle contestazioni su tutti gli aspetti della sentenza di primo grado, induceva la Corte d’Assise di Appello (Presidente dott. Muscolo, giudice a latere dott.ssa Campagna) a rinnovare l’istruttoria dibattimentale su gran parte dell’istruttoria svolta in primo grado. L’avv. Francesco Calabrese, difensore aggiunto di Liuzzo Filomena, criticava sotto il profilo dell’illogicità la ricostruzione della vicenda operata dal primo giudice e ne contestava la validità sotto il profilo della corretta applicazione dell’art. 192 c.p.p., che regola i procedimenti indiziari. La Corte d’Assise di Appello, disponeva quindi la trascrizione e l’acquisizione della telefonata intercettata, prodotta dalla difesa, nonché la consulenza tecnica in merito ai rilievi dei tabulati telefonici ed al funzionamento delle celle, conferendo incarico ad uno dei maggiori esperti in materia, Ing. Claudio Fusco, Commissario della Polizia Scientifica di Roma. Il perito sconfessava su tutti i fronti le risultanze interpretative del funzionamento delle celle e dei tabulati fornite dal Mar.llo Gambina, affermando che i rilievi posti dalla difesa dello Zampaglione e della Liuzzo, erano fondati. In alcuni aspetti si è persino rilevato che il funzionamento delle celle per come prospettato dall’Ing. Fusco era quello propugnato dalle difese tanto che le onde radio relative alla cella di Taormina si irradiavano per chilometri all’interno del territorio calabrese e non solo verso la casa della vittima. Lo stesso perito ha inoltre affermato che al momento in cui il cellulare degli imputati era impegnato telefonicamente, gli stessi si trovavano nei pressi della propria abitazione e non sul Lungomare di Lazzaro come dall’ipotesi prospettata dagli inquirenti. Inoltre la Corte d’Assise di Appello ha più volte incalzato il CTU medico, che aveva eseguito l’autopsia sul Liuzzo, in riferimento all’orario della morte e sui rilievi posti dall’Avv. Miccoli afferenti il ritrovamento di elementi alimentari, trovati all’interno dello stomaco del defunto, allo stato del cosiddetto “bolo”, cioè della prima fase della digestione, per cui l’orario del decesso andava retrodatato. Su domande dell’Avv. Miccoli, il dott. Matarazzo ha ammesso di aver effettuato la consulenza esclusivamente su alcuni dati in suo possesso, relativi all’orario in cui la vittima aveva cenato e di disconoscere persino gli alimenti da questi ingeriti. A fronte delle precise contestazioni, il medico ha ammesso le circostanze evidenziate. Quindi venivano meno gli elementi di accusa posti erroneamente a fondamento della sentenza di primo grado. La Corte di Assise di Appello, dopo aver ascoltato la requisitoria del PG dott. Riva che ha chiesto l’assoluzione degli imputati con formula dubitativa, rilevava le difficoltà e la perplessità dei dati emersi nell’istruttoria che non consentivano di affermare la responsabilità degli imputati. Con lunga e circostanziata arringa difensiva, l’Avv. Miccoli ha contestato punto per punto tutti gli aspetti della sentenza, la mancanza del movente e la erroneità di quello ipotizzato dagli inquirenti, nonché tutti i dati indiziari che costituivano i pilastri della sentenza ipotizzati dal Procuratore Generale. L’Avv. Calabrese con un intervento molto tecnico e con dovizia di argomentazioni ha rilevato le erroneità dei dati tecnici emersi dagli accertamenti del Mar.llo Gambina e del dott. Matarazzo che costituiscono i presupposti erronei per il procedimento indiziario. L’Avv. Calabrese che si è altresì lungamente soffermato sulla mancanza del movente.

La Corte di Assise di Appello ha, quindi, annullato la sentenza di primo grado, assolvendo gli imputati e mettendo così fine all’odissea giudiziaria dei coniugi Zampaglione-Liuzzo ingiustamente detenuti da un anno per un delitto mai commesso. Profonda amarezza hanno espresso gli imputati per esser stati accusati ingiustamente da un’indagine monodirezionale, infondata e per avere scontato un anno di detenzione non meritato. Grande sconcerto, infatti, aveva destato il loro arresto nella frazione di Lazzaro, permanendo, tutt’oggi, moltissimi dubbi ed ombre sul reale autore dell’efferato delitto dell’anziano pensionato. Gli imputati, tuttavia, hanno espresso grande fiducia nella legge e nei giudici dell’appello che hanno sin dall’inizio garantito i principi dell’equo giudizio, affermando la loro innocenza. Tutto da rifare, dunque, per gli inquirenti che dopo sette anni dovranno cercare il reale autore dell’omicidio.

(fonte StrettoWeb)

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