Mar. Lug 16th, 2024

Non fanno parte di un bacino che li identifichi, per anni hanno lavorato con i “contratti atipici” a supporto dei dipartimenti e ora sono rimasti senza lavoro. Ma la politica non se ne occupa. Il giallo della delibera richiamata negli atti ma mai pubblicata

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La Regione Calabria, così come tutte le pubbliche amministrazioni in Italia, attraverso la legge Madia, ha avuto l’opportunità di stabilizzare i lavoratori precari, di identificarli in un bacino di appartenenza. Esiste, però, nella nostra regione un gruppo di precari senza volto e senza identità, un centinaio di persone che per anni ha lavorato con contratti a progetto, i cosiddetti contratti atipici. Si sono occupati di attività di rendicontazione nei bandi del fondo sociale europeo, controlli di primo livello, attività di monitoraggio per la realizzazione delle operazioni cofinanziate dal Por Calabria 2000/2006 e 2007/2013, inserimento nella banca dati Inps, certificazione di spesa e parecchie altre attività a supporto dei dipartimenti della Regione. Queste persone sono i precari senza bacino, alcuni di loro sono presenti nei dipartimenti dal 2003, hanno speso 7, 12, 14 anni negli uffici regionali, fino a giugno 2015, e si trovano ora senza il riconoscimento dello status di precario. Licenziati i progetti, in alcuni casi con mesi di arretrati da pagare, i precari senza bacino sono rimasti senza lavoro e senza riconoscimento di identità ovvero il riconoscimento in un bacino. Nonostante richieste di incontri e proteste, la giunta regionale non si è mai voltata dalla loro parte, escludendoli da ogni legge sul precariato. Nonostante, in pieno clima di campagna elettorale, intorno al tema del mercato del lavoro in Calabria e in particolare ai percorsi di stabilizzazione del precariato esistente, la Regione e i sindacati si diano molto da fare a istituire tavoli e cronoprogrammi per rassicurare pletore di elettori precari, il gruppo dei senza bacino resta senza santi in paradiso. Seguendo le istanze di questa categoria di lavoratori è possibile imbattersi in quello che è l’intricato modo di gestire il precariato calabrese, tra delibere di giunta e decreti dirigenziali mai pubblicati e tentativi non troppo convinti e convincenti di stabilizzare i precari.

VIA CRUCIS TRA LEGGI E DECRETI Ma procediamo con ordine, partendo dalla legge regionale madre sui precari, la legge 1 del 13 gennaio 2014, con la quale la Regione approva gli elenchi regionali dei lavoratori precari. Con la legge 1, in pratica, la Regione Calabria istituisce un elenco regionale al fine di «favorire l’assunzione a tempo indeterminato, anche parziale» dei lavoratori precari. La norma prevede che nell’elenco regionale vengano inseriti i lavoratori lsu-lpu (in forza nei Comuni e negli enti locali da circa 20 anni). Inoltre prevede che «al fine di ridurre il numero dei lavoratori impegnati in attività socialmente e di pubblica utilità, di cui alle leggi regionali 15/2008, 28/2008 e 8/2010, destinatari di misure di sostegno al reddito a valere sul bilancio dello Stato e delle Regioni, gli enti locali possono prorogare i contratti e l’utilizzo di tali lavoratori fino al 31 dicembre 2016 per favorire l’assunzione a tempo indeterminato, anche con contratto di lavoro a tempo parziale». In pratica, anche i lavoratori cosiddetti delle leggi 15/2008, 28/2008 e 8/2010 devono essere inseriti dalla Giunta in un elenco regionale. Il 22 gennaio 2014 viene pubblicata la manifestazione d’interesse della legge 1 del 13 gennaio 2014, invitando alla partecipazione i precari presenti nei bacini, si aggregano a loro anche i lavoratori precari senza bacino, a quell’epoca presenti nei dipartimenti in quanto i requisiti richiesti erano identici.

LO SPIRAGLIO Uno spiraglio per i precari senza bacino si è manifestato a luglio 2014 quando il consiglio regionale promuove l’interpretazione autentica della legge 1 del 13 gennaio 2014, introducendo nel primo articolo nuove voci: che debba ricomprendere anche tutti i lavoratori di Enti partecipati interamente dalla Regione Calabria pur non avendo partecipato alla Manifestazione d’interesse espletata in forza dal dgr n.17910 del 14 novembre 2008 dal dipartimento Lavoro, che abbiano svolto alla data del 31 dicembre 2007 almeno 2 anni di attività anche mediante contratti di co.co.pro e/o che siano in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge.
Nonostante ciò, dopo tre anni di richieste, la Regione non risponde a questo gruppo di parìa del lavoro. Al contrario, l’11 dicembre 2017 il dipartimento Lavoro emana un decreto (il 13980 – approvazione elenchi regionali dei lavoratori) nel quale compaiono solo gli elenchi dei lavoratori precari presenti nei bacini. C’è da dire che questo decreto – firmato dal dirigente di settore Roberto Cosentino e dal funzionario del dipartimento Pasquale Capicotto – non è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Calabria.

TALLONE D’ACHILLE Ma vi è un altro documento parecchio significativo e privo di una pubblicazione ufficiale. Si tratta della delibera di giunta regionale 420 del 10 ottobre 2014. Non è una cosa da niente: è “l’atto di indirizzo” della legge regionale 1 del 13 gennaio 2014, la legge madre del precariato calabrese. A questa delibera di giunta regionale si rifanno decine di atti del dipartimento Lavoro che riguardano contrattualizzazioni, proroghe di contratti, elenchi regionali dei lavoratori, impegno di fondi per i lavoratori. Insomma, un po’ tutto quello che è il cuore normativo del dipartimento Lavoro. Una spina nel fianco del dipartimento più discusso della Regione Calabria.

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