Sab. Lug 27th, 2024

Si è conclusa dopo dodici ore l’udienza riservata dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria (Bruno Muscolo presidente, a latere, Giuliana Campagna) alle discussioni finali del processo “‘Ndrangheta stragista” in cui sono imputati, e già condannati all’ergastolo in primo grado, il boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, e Rocco Santo Filippone, capo della ‘ndrangheta di Melicucco (Reggio Calabria), quali mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, fatto avvenuto nei pressi di Scilla il 18 gennaio del 1994, episodio legato al disegno stragista avviato da Riina con l’adesione della ndrangheta calabrese. Il Procuratore generale di udienza Giuseppe Lombardo, ha valorizzato come ulteriore prova contro gli imputati la recente acquisizione di una intercettazione.

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I difensori  (Guido Contestabile e Salvatore Staiano, per Rocco Santo Filippone, e Federico Vivarelli e Giuseppe Aloisio, per Giuseppe Graviano) hanno contestato la costruzione dell’Accusa definendola “priva di contenuto e di vocazione probatoria”. In particolare, l’avvocato Vivarelli ha parlato di “gigantesco equivoco relativamente all’evidenza della prova”, aggiungendo che a Giuseppe Graviano “non è stata data la possibilità di difendersi in questo processo. Qui – ha detto il penalista – non si sta processando un fenomeno sociale, ma persone, e bisogna considerare i fatti, poiché su Graviano e Filippone nulla emerge dalla deposizione del tenente colonnello Galasso rispetto alla richiamata intercettazione a carico di Francesco Adornato. Non fatevi condizionare dal nome di Graviano – ha detto il penalista rivolto alla giuria – perché la storia oggi la potrete fare voi con un’ampia assoluzione”. Nella sua lunga controreplica, il Procuratore generale di udienza Giuseppe Lombardo, ha riproposto alla valutazione dei giudici d’Appello le ragioni che hanno portato agli attentati contro i carabinieri.

“Che bisognava attaccare i carabinieri – ha detto – lo dice già Franco Pino nel 2018, ma viene già esposto nelle dichiarazioni, credibili e attendibili, dei collaboratori di giustizia Giuseppe Calabrò e Consolato Villani, quando descrivono gli incontri nella masseria di Rocco Santo Filippone, durante cui viene loro consegnata l’arma – una mitraglietta M12 Beretta – per gli attentati ai carabinieri, e gli si dice che solo con quel mitragliatore devono colpire gli uomini dell’Arma”. Ordine che sarebbe stato eseguito dai due giovanissimi killer nel dicembre 1993 a Reggio Calabria, con due carabinieri feriti; nel gennaio del 1994, uccidendo Fava e Garofalo, e l’1 febbraio 1994, quando colpiscono ancora gravemente due militari a Reggio Calabria. Quegli attentati ai carabinieri, secondo l’Accusa, “di stampo terroristico”, erano stati già decisi nella riunione al resort ‘Sayonara’, in provincia di Vibo Valentia, nel settembre del 1992,  su decisione dei capi del mandamento tirrenico della ‘ndrangheta, il triumvirato composto da  Giuseppe ‘Pino’ Piromalli, Antonino Pesce ‘testuni’ e Luigi Mancuso, insieme alle altre più potenti ‘famiglie’ della ‘ndrangheta calabrese: Bellocco, De Stefano, Tegano, Condello, Papalia Nirta e Sergi. La sentenza è prevista per il prossimo sabato 25 marzo.

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