Un poliziotto (ora in pensione) compare tra la ventina di imputati di un processo, in corso a Torino, con l’accusa di essere stato la ‘talpa’ di un boss legato alla ‘ndrangheta.
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La vicenda è trattata dai giudici del tribunale nell’ambito del dibattimento scaturito dall’inchiesta “Pugno di Ferro“, culminata nel 2019 in una serie di arresti, per episodi di usura, estorsione e riciclaggio. Sul caso ha indagato la polizia con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia del Piemonte.
Il poliziotto in questione è un ex sostituto commissario che dopo circa trent’anni nella squadra mobile della Questura, e un altro incarico in ambito istituzionale, era stato destinato a un commissariato cittadino; aveva poi preso un congedo per malattia e non era rientrato in servizio fino al pensionamento. Ora si procede per falso e rivelazione di segreto d’ufficio.
Secondo le accuse, nel periodo di assenza fece sapere a Renato Macrì, personaggio che si ritiene legato alla consorteria ‘ndranghetistica Ursino-Scali-Macrì di Gioiosa Jonica, dell’esistenza dell’indagine nei suoi confronti. Gli inquirenti sono convinti che fra i due vi sia stato un incontro, in seguito al quale il presunto boss abbia cambiato il telefonino, che era tenuto sotto controllo.
Lo scorso ottobre si è chiuso con 18 condanne – in primo grado – il troncone del processo celebrato con il rito abbreviato.