Mar. Lug 16th, 2024

” ‘U piròci “, la trottola, era il gioco forse più amato di noi bambini degli anni ’50, con cui passavamo ore intere divertendoci. Giocavamo alla “scarciaròta”, un gioco a coppie o a squadre, che si svolgeva su strade o piazze di terra battuta. L’importante era avere un’altra trottola a disposizione chiamata “pizzata”, non lavorata al tornio, ma fatta a mano artigianalmente, alla quale venivano inferte le picconate “picunati”, precedentemente concordate, per le trottole che non giravano dentro una ruota prestabilita. Le picconate venivano inferte sulla “cianciana”, sommità del “piroci” avversario con lo “spunturi” del proprio “piroci”, che era la punta di metallo cilindrico su cui “ballava” , dopo essere stato lanciato all’interno della ruota tracciata a terra, tramite un filo di spago ( “lazza”) che lo avvolgeva, tenendone in mano l’estremità superiore, che, dipanandosi, gli imprimeva la forza necessaria per girare su se stesso. Quando un “piroci” non girava in modo uniforme, cioè ballava “ciàciaru” per le troppe “picunati” infertigli, lo sfottò degli avversari non finiva mai. Era tanta la volontà del giocatore avversario di colpire con la punta della propria trottola quella avversaria rimasta a terra, danneggiandola, al momento del lancio, che il giocatore ripeteva ironicamente: << Piroci bagliu e piroci non mbijiu!>>, per significare che non sapeva il danno che avrebbe procurato alla trottola avversaria.  FRANCO BLEFARI

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