I numeri del comparto potrebbero rendere la regione tra i territori leader dell’intera filiera produttiva nazionale. Ma l’incapacità dei produttori di unirsi non permette al settore di decollare
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Concorrenza esasperata dei mercati “emergenti” che limitano al ribasso il prezzo medio della produzione, estrema parcellizzazione dell’offerta che fa il paio con una lentezza nel creare un sistema aggregato di produttori organizzati. E poca attenzione delle istituzioni ad aiutare chi sul mercato potrebbe emergere, nonostante tutto. I mali del comparto ortofrutticolo calabrese sono racchiusi tutti qui. E se vogliamo sono allo stesso tempo causa ed effetto dell’incapacità del settore di affermarsi prepotentemente come fattore traino dell’intera economia regionale. E come un cane che si morde la coda limitano le enormi potenzialità di crescita del comparto. Eppure i numeri indicano che la Calabria su base nazionale potrebbe tranquillamente divenire tra le regioni leader dell’intera filiera produttiva.
A partire non solo dalla quantità, ma puntando su una produzione di qualità che trova in alcuni prodotti veri e proprie punte d’eccellenza che lentamente – troppo – si stanno facendo apprezzare sulle tavole di diversi Paesi. Ora con una ripresa dei consumi alimentari registrati nel corso del 2017 (+4,2% di consumi di frutta e +4% di ortaggi su base annua) e nel primo trimestre del 2018 (+1% dell’intero comparto rispetto allo stesso periodo del 2017) le aspettative di poter agganciare seriamente la ripresa economica – almeno in questo settore – diventa più di una pia speranza per gli imprenditori del comparto.
E i primi segnali in questa direzione fanno ben sperare. Almeno a giudicare dalle valutazioni delle Organizzazioni di produttori, imprenditori e associazioni di categoria che sono convinti che la campagna del fresco che si è appena aperta per la nostra regione avrà queste caratteristiche: crescita della redditività per le aziende. Complice una riduzione della produzione a favore di una migliore qualità – che sta pesando sull’incremento dei prezzi – e di un clima atmosferico favorevole che ha “graziato” la regione rispetto ai principali territori competitor della Calabria. Su tutti Spagna, Portogallo e soprattutto i Paesi dell’area nord africana. Precondizioni ideali per far salire le aspettative, ma che nel contempo rischiano di dimostrare ancora una volta i limiti del sistema produttivo calabrese a rispondere appieno alle esigenze di un mercato globalizzato che punta ad intercettare quanti riescano ad immettere prodotti nella catena distributiva italiana e mondiale. Ma soprattutto a garantirne con continuità quantità e qualità. Un concetto che tradotto in termini sintetici significa, appunto, organizzazione della produzione attraverso l’associazione di produttori e la diversificazione produttiva. Un concetto che in Calabria stenta ad essere compreso.
I NUMERI DELL’ORTOFRUTTA
Eppure i numeri per far pesare la Calabria sul mercato nazionale ci sono. A partire dalla produzione regina del settore: l’agrumicoltura. Solo questo comparto rappresenta oltre un quarto dell’intera superficie agricola nazionale dedicata al settore (25,6%). In Calabria, in particolare, sono presenti 30.810 ettari di superficie agricola utilizzata per la coltivazione di agrumi (in Italia complessivamente ci sono 120.190 ettari). Un dato – secondo nel Paese dopo la Sicilia – che conseguentemente si traduce anche in un’importante mole di aziende attive nel comparto: 11.480 e che rappresentano il 26,7 per cento dell’intero settore agrumicolo nazionale.
Ma anche sull’ortivo la Calabria esprime numeri ragguardevoli così come sulla produzione delle patate. Basti considerare che in quest’ultimo segmento la regione con 3.120 ettari di superficie rappresenta la terza realtà italiana per estensione (12,1%). A coltivare patate sono attive 1.700 aziende cioè il 10,8% dell’intero sistema produttivo del settore. Nel campo della produzione di ortive in piena aria, poi, in Calabria sono attive 6.770 aziende che rappresentano oltre il 10 per cento delle imprese agricole italiane specializzate. In questo settore la regione è settima per superficie agricola utilizzata (920 ettari), segnale questo della particolare parcellizzazione del comparto.
E poi c’è la “prima donna” del comparto ortofrutticolo calabrese: la clementina. Con il 68,4 per cento dell’intera produzione italiana alla Calabria va il primato nazionale. Un prodotto che però ha subìto – stando ai dati dell’Istat – la peggior performance di consumo, ma soprattutto una contrazione degli indotti a valore assieme alle arance: segnando rispettivamente -3,2% e -5,2%. Proprio in virtù dell’aggressività della competizione dell’area mediterranea – in primis i Paesi del Nord Africa – capaci di distribuire quantità importanti a prezzi decisamente ridotti. Questo in virtù di un costo del lavoro decisamente più contenuto e a una legislazione meno restrittiva in materia di controlli dei cicli produttivi. A cui la Calabria non riesce a sopperire per la mancanza anche di organizzazione del sistema produttivo.
LA LENTA AGGREGAZIONE PRODUTTIVA
Se da tempo si è compreso che il miglior modo per competere sui mercati globali resta quello di concentrare l’offerta attraverso la nascita di organizzazioni produttive ben strutturate, questa strada sembra essere ancora poco percorsa in Calabria. Secondo i dati del Mipaaf, qui – in controtendenza nazionale – addirittura il numero di Organizzazioni di produttori (Op) negli ultimi otto anni è addirittura diminuito: se nel 2010 erano presenti 22 Op – con una punta di 25 nel 2012 – quest’anno ne risultano attive 19. E inoltre nella regione non risulta presente neppure una Associazione di organizzazione di produttori (Aop).
Eppure questi strumenti voluti dalla Unione europea – che aggregano le imprese agricole operanti nel settore ortofrutticolo – si sono rivelati fondamentali per fornire non solo rappresentanza e tutela degli imprenditori associati, ma soprattutto per elevare il livello di commercializzazione, promozione e rafforzamento dei produttori rispetto ai grossi player del mercato. Leggasi Grande distribuzione organizzata. Talmente validi da essere destinatari di specifiche misura di sostegno per svilupparne la diffusione.
Incentivi che però sembrano non aver fatto sufficientemente leva sui produttori nostrani. Così emerge che se in Italia l’indice dell’organizzazione della produzione ortofrutticola è pari quasi al 50 per cento, in Calabria questo coefficiente arriva appena al 25 per cento. «Se l’agricoltore singolo non si aggrega finisce per non creare una massa critica interessante e dunque difficilmente riesce a competere su un mercato globalizzato», chiarisce Mario Schiano lo Moriello, analista dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea). Per questo l’esperto del mercato di Ismea indica come strada maestra «l’adesione dei produttori alle Op». «In Calabria – afferma – esistono bellissime realtà nel comparto ortofrutticolo, ma al di là di qualche singolo risultato positivo anche su questo settore, che resta di nicchia, si deve necessariamente passare attraverso l’aggregazione. Solo così si può puntare ad incidere in termini di ritorni significativi».
Il riferimento dell’analista dell’Ismea è sulle produzioni Igp calabresi: la cipolla di Tropea, le clementine di Calabria, la patata della Sila, il limone di Rocca Imperiale, ma anche sul finocchio di Capo Rizzuto.
Dalle stime dell’Istituto, l’ortofrutticolo d’eccellenza rappresenta quasi i due terzi dell’intera filiera a marchio calabrese con un valore alla produzione che ha raggiunto i 12 milioni di euro l’anno. Entrando nello specifico da sola la cipolla rossa di Tropea, con 19.810 tonnellate di prodotto anno, vale circa 9 milioni di euro. Un’altra realtà che si sta consolidando nel tempo – oltre alle clementine di Calabria – è la patata della Sila Igp che ha raggiunto una produzione annua di 60mila quintali con una superficie dedicata di 200 ettari gestita da 70 produttori, di cui 50 certificati.
Numeri che però, se si esclude qualche eccezione, si scontrano contro il muro della difficoltà di aggregarsi nella regione. Un male che interessa l’intero comparto. «Per contare sui mercati – sostiene Elio Perciaccante, presidente Ortofrutta-Confagricoltura Calabria – si deve parlare con una voce unica. Mentre la nostra regione paga lo scotto di procedere lentamente sulla strada dell’aggregazione». Per l’esponente dell’associazione di categoria sono due i motivi: «c’è una componente culturale che porta a diffidare della collaborazione con il proprio vicino» e poi c’è un aspetto legato alla struttura delle aziende agricole. «Esistono ancora aziende con grosse superfici – afferma Perciaccante – che non favoriscono il processo di associazione tra imprese. In molti hanno la convinzione che comunque possano spuntare un prezzo competitivo anche rimanendo da soli. Ma è una posizione che l’esperienza ha dimostrato non porta alla lunga da nessuna parte».
E poi ci sono gli “intoppi” messi in piedi dalla burocrazia regionale. «Il dipartimento regionale – denuncia – ha eliminato il glifosato tra i diserbanti utilizzabili contro le malerbe. Una decisione presa senza però adottare una conseguenziale campagna d’informazione per i consumatori. Così ne è derivato un incremento sostanziale dei costi per gli operatori del comparto, che devono competere con un mercato nazionale e internazionale dove questa sostanza non è stata bandita, senza però trarne il beneficio del messaggi positivo che ne sarebbe derivato sul made in Calabria».
MINISCI: «IL SUCCESSO PASSA DALL’AGGREGAZIONE»
«Noi siamo nati come azienda singola nel 1995 poi, dopo 10 anni di esperienza nel settore, ci siamo resi conto che come singoli non potevamo assolutamente rispondere alle esigenze del mercato. E così prima con una cooperativa e successivamente con la creazione di un Op abbiamo scelto la strada dell’associazione tra imprenditori». Così Anita Minisci, direttore commerciale dell’Op “Carpe naturam”, spiega il motivo del successo di questa organizzazione di produttori divenuta tra le realtà leader dell’ortofrutta fresca in Italia. La “Carpe naturam” unisce 124 produttori agricoli e fattura 12 milioni di euro l’anno. Attorno a questa realtà nata nell’area della piana di Sibari e l’alto Jonio cosentino ora si sono adunati anche produttori del Siracusano e del Foggiano. «Siamo diventati leader del mercato europeo delle clementine», racconta la manager che ricorda come la produzione dell’Op ormai sia rivolta soprattutto all’export: «l’80% di quanto produciamo va fuori dall’Italia». Ed i mercati di sbocco sono soprattutto la Francia, l’Inghilterra e l’Austria, «anche se – dice – ormai siamo entrati nei mercati statunitense e canadese».
Dunque l’aggregazione per questa realtà – che dai 20 dipendenti dell’inizio dell’esperienza è passata a 110, oltre un indotto stagionale importante – «è stata una scelta “naturale”». «Non poteva essere il mercato di prossimità il nostro obiettivo – sostiene Minisci – ma il mondo intero e per fare questo occorreva condividere il progetto con altri imprenditori». Dai 10 ettari iniziali si è passati così ai 680 dell’Op con un paniere di prodotti sempre più vasto. «Dalle clementine ci siamo allargati alle nettarine per poi includere orticoli e poi ci siamo aperti alle produzioni presenti in Puglia e in Sicilia. Una scelta che ci ha permesso non solo di migliorare il paniere ma di essere maggiormente presenti sul mercato». E da queste premesse arriva l’invito di Minisci «a credere nell’aggregazione e ad avere il coraggio di andare oltre il proprio tornaconto per creare valore aggiunto per il territorio».
Infine un appello alle istituzioni: «Dovrebbero creare le precondizioni per consentire alle imprese calabresi di competere alla pari sui mercati». Un riferimento diretto alle condizioni di isolamento che vive una parte della Calabria jonica: «sono necessari interventi per migliorare la viabilità e la rete di trasporto. Questo per garantire parità di competizione con il resto del Paese».
Roberto De Santo
(FONTE CORRIERE DELLA CALABRIA)