Il panettiere calabrese dovrà scontare il massimo della pena per l’assassinio del magistrato torinese. I giudici non hanno accolto la richiesta di riaprire il dibattimento avanzata dai difensori e dai parenti della vittima
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La Corte d’Assise d’appello di Milano ha confermato la condanna all’ergastolo per Rocco Schirripa, il panettiere di 65 anni imputato per l’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, ucciso nel giugno 1983. I giudici hanno così accolto la richiesta del sostituto pg Galileo Proietto per l’uomo accusato di aver fatto parte del gruppo di fuoco che freddò, oltre trent’anni fa, il magistrato torinese. La condanna in primo grado era arrivata nel giugno del 2017.
I giudici non hanno accolto la richiesta di riaprire il dibattimento avanzata dai difensori dell’imputato, gli avvocati Basilio Foti e Mauro Anetrini, così come dai familiari del magistrato, parti civili assistiti dal legale Fabio Repici. Quest’ultimo ha affermato che la sentenza «conferma la responsabilità di uno dei responsabili dell’omicidio Caccia, ma se questa sentenza chiudesse gli accertamenti giudiziari sarebbe una sorta di confessione della giurisdizione milanese di non potere arrivare a livelli superiori a quelli di Schirripa».
Il legale ha fatto riferimento anche alle nuove indagini avocate dalla Procura generale sull’omicidio e a carico dell’ex militante di Prima Linea Francesco D’Onofrio. Indagini che sono ancora in corso, secondo Repici, ma «con grande sofferenza e con grande fatica da parte di questi uffici giudiziari».
«Rocco Schirripa non c’entra niente e non lo dico io, ma i fatti», aveva detto lo stesso imputato nelle scorse udienze. «Hanno studiato a tavolino per trovare un capro espiatorio e hanno scelto me perché ero una preda facile: sono compare di Domenico Belfiore (il mandante condannato all’ergastolo, ndr), sono pregiudicato e sono calabrese». Secondo la Dda milanese, l’omicidio Caccia fu una dimostrazione di fedeltà data da Schirripa al boss della ‘ndrangheta Belfiore, irritato dall’estremo rigore del magistrato torinese. Nella sua requisitoria il pg Proietto aveva illustrato i diversi passaggi dell’indagine a partire dalla lettera anonima che era stata inviata a Domenico Belfiore. Lettera che spinse Belfiore, Placido Barresi, cognato di Belfiore, e l’imputato a parlare, intercettati, del delitto Caccia. Il pg aveva citato anche la testimonianza di Domenico Agresta, pentito di ‘ndrangheta che rivelò prima agli inquirenti e poi nel processo di avere saputo dal padre e boss Saverio Agresta che Rocco Schirripa e Francesco D’Onofrio facevano parte del gruppo di fuoco che uccise Caccia. Secondo il pg, Agresta “junior” è attendibile.