Mar. Ago 13th, 2024

Non parliamo di epoche passate dove le differenze fra nord e mezzogiorno italiano erano molto evidenti, a cominciare dalla rivoluzione industriale che ha sancito la prima vera e propria frattura nel paese. La rivoluzione ha trovato senza dubbio terreno fertile introducendo nel nord del nostro Paese un nuovo stile di vita, un’ evoluzione epocale a cominciare dall’introduzione delle fabbriche nelle città provocando il cosiddetto fenomeno dell’ “inurbamento” ovvero un’emigrazione senza precedenti dalle campagne dove i contadini prestavano la propria forza lavoro. Dallo sviluppo delle fabbriche si passa allo sviluppo ferroviario, alla creazione di marchingegni che miglioravano le condizioni di vita, il progredire nel campo scientifico e medico. Questa condizione ha peraltro evidenziato più marcatamente la suddivisione in classi sociali sancita sin dallo scoppio della rivoluzione francese. Perché si, la società era suddivisa in classi sociali e tutt’ora questo sussiste, il potere suscita ammirazione, esclusione sociale, discriminazione. Dalle nostre pagine di storia possiamo ricordare questo e molti altri episodi correlati alle guerre per la cosiddetta “unità d’Italia” sentita nel cuore di molti patrioti ma perseguita solo da chi davvero ha dato la propria vita nel vero senso della parola per amor della patria. Dunque le immagini che raffigurano quei tempi nei libri di storia è questa: al nord ricchezza, bella vita, industrializzazione, progresso. Al sud lavoro nei campi, fame, povertà, brigantaggio, stato assente. I maggiori esponenti culturali dell’epoca, scrittori, poeti, raccontano con tono realistico, tra cui Giovanni Verga, il maggiore esponente del realismo siciliano, la vita da campi, la vera vita da campi, la lotta quotidiana alla sopravvivenza, fatta di stenti, di subordinazione del maschilismo nei riguardi delle donne, un’ era quasi paragonata a quella della pietra. Non vi era spazio per il divertimento, né tanto meno per la scolarizzazione anche perché chi aveva il “privilegio” di avere figli maschi (perché era un dono avere figli maschi in quanto rappresentavano la forza lavoro) poteva usufruirne per il lavoro nei campi. Diciamo che le figlie femmine non erano molto gradite nella cultura misogina del sud durante la metà del diciannovesimo secolo. Alle donne era comunque affidato il compito più arduo, la cura, l’educazione e la crescita della prole, molto numerosa. Per cui veniva insegnato loro che ci sono lavori da maschi dunque che implicavano forza lavoro e lavori da donne ovvero quello di essere delle “brave” mogli, di accudire i figli e mantenere un clima sereno in famiglia. Dunque miseria, povertà, condizioni sanitarie discutibili, bassi livelli se non inesistenti livelli di scolarizzazione, maschilismo regnante, caratterizzano il mezzogiorno post unità. Le fonti storiche evidenziano queste differenze in modo molto marcato. Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino nel 1876 intraprendono un viaggio nei meandri del territorio siciliano. Qui ha inizio, se può considerarsi la prima inchiesta da un punto di vista statistico, socio demografico ed economico, la loro avventura dove denunciavano le condizioni in cui versava la Sicilia post unità. I due parlamentari documentano nei dettagli le condizioni di una Sicilia povera e ignorante, dove regna la “mafia” che si è sostituita ad uno Stato spesso assente ed inefficace. Da qui è nato questo “fenomeno”, la criminalità organizzata di stampo mafioso nasce da questa esigenza, un comportamento non certamente giusto. Una giustizia fatta dal popolo. Ecco che ancora oggi l’immagine del mezzogiorno è raffigurata da un popolo di mafiosi e analfabeti senza cultura. Nel sud vi sono tradizioni a cui siamo particolarmente legati, siamo un popolo di conservatori ma questo non vuol dire che vi sia radicata una cultura improntata sulla criminalità. Da un punto di vista dei tassi di scolarizzazione i dati parlano chiaro: al sud si lascia la scuola dell’obbligo ai compiuti 16 anni di età, e questo è senza dubbio un punto a sfavore. Per non parlare della disparità da un punto di vista del genere e in particolare per quanto concerne l’ambito lavorativo fra uomo e donna. Tuttavia i giovani che hanno conseguito anni di studi e sacrifici emigrano verso il nord con la vana speranza di trovare un porto sicuro poiché il caro vecchio sud non riserva molte opportunità. Anzi, i dati istat rilevano che nel 2020 più di 109 mila italiani hanno abbandonato la patria per emigrare all’estero dove vi sono opportunità maggiori anche rispetto il nord d’Italia. Il problema della scarsità di lavoro al sud è ben noto, nel pensiero comune, come ho già detto, primeggia l’idea della criminalità organizzata di stampo mafioso. I fatti di cronaca sono noti, questo potere non lascia spazio alla maggior parte di giovani onesti che hanno voglia di intraprendere un mestiere, di crearsi un futuro nella propria terra. A malincuore si parte, con la speranza di tornare e portare con sé un bagaglio importante, l’amore dei propri cari. Diffusi sono peraltro i sussidi statali riservati agli inoccupati di cui gode la maggior parte della popolazione del mezzogiorno. Questo dato negativo paradossalmente non sprona nel ricercare un possibile mestiere. Ulteriormente vi si aggiunge il problema sanità, il tarlo del mezzogiorno. L’idea è quella di andare a Milano, Roma, Torino per curarsi poiché qui non vi sono mezzi efficienti e strutture inadeguate. Eppure vi sono medici competenti come al nord, bravi nel loro mestiere. La sfiducia è provocata da queste condizioni di malasanità estesa al sud. Spesso i giovani emigrano anche per studiare al nord poiché vi è la mera condizione che vi siano università migliori perché appunto non possiamo paragonare una “Bocconi” all’università di Reggio Calabria. Eppure i docenti e le università del sud possono ostentare molti primati e anche di “sfornare” studenti competenti al pari dei colleghi che studiano al nord. Infine la situazione del passato rispetto a quella odierna è senza dubbio cambiata anche se i pregiudizi siano radicati nel pensiero comune. Tuttavia l’esclusione sociale è ancora forte e lo stato ha il dovere di sopperire alle esigenze di tutta la nazione. L’articolo n.3 della costituzione italiana così dice «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Non lasciamo che questo resti un mero articolo!

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Dott.ssa Santostefano Francesca – Sociologa

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