Gio. Nov 21st, 2024

Il collaboratore Iannò rivela: «Alcune famiglie proposero l’omicidio di un magistrato, ma ci opponemmo. La vecchia ‘ndrangheta puntava a corrompere, non a sfidare lo Stato»

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Durante il processo “Propaggine” a Roma, il collaboratore di giustizia Paolo Iannò ha rivelato dettagli sconvolgenti sulle strategie della ‘ndrangheta negli anni ‘90, e il suo racconto offre uno spaccato del codice criminale di allora. «Nel ’98-99 – ha affermato Iannò – qualche famiglia aveva proposto di colpire un magistrato, ma ci siamo opposti tutti». Secondo l’ex affiliato, in passato la ‘ndrangheta aveva una regola: non sfidare lo Stato, ma cercare piuttosto di corromperlo per garantirsi il controllo sul territorio. «La vecchia ‘ndrangheta era così», ha dichiarato Iannò, specificando che solo negli ultimi anni si sarebbe registrata una maggiore aggressività verso le istituzioni.

Arrestato nel 2000 e pentito dal 2002, Iannò ha descritto al pubblico ministero Giovanni Musarò le dinamiche interne della ‘ndrangheta reggina, dall’organizzazione fino alla “seconda guerra di mafia”, che segnò la Calabria con una lunga scia di sangue. «Domenico Alvaro – ha raccontato Iannò – fu il garante della pace tra le famiglie Condello, Imerti e Serraino». Una pacificazione cercata per il benessere delle famiglie, ottenuta nel corso di una riunione nelle campagne di Sinopoli, dove si discussero i sacrifici sopportati dalle donne e dai bambini coinvolti nel conflitto.

Figli di ‘ndrangheta e figli adottivi: il ruolo della famiglia
Iannò ha approfondito anche l’aspetto culturale della ‘ndrangheta, che distingue tra i cosiddetti “figli di ‘ndrangheta” e i “figli adottivi”. «I “figli di ‘ndrangheta” – ha spiegato – sono quelli che nascono in famiglie di ‘ndrangheta, anche se la scelta è sempre personale». I “figli adottivi”, invece, sono i giovani che si avvicinano al clan pur non avendo legami familiari, ma per loro la vita criminale diventa una seconda famiglia e la fedeltà ai clan viene consolidata fin dall’infanzia.

Il progetto per uccidere un magistrato e il rifiuto
Rispondendo a una domanda del pm, Iannò ha riferito di come negli anni ’98-99 ci fosse stata una proposta per uccidere un magistrato, proveniente da alcune famiglie di ‘ndrangheta come i Zavettieri, Morabito e Paviglianiti. Tuttavia, l’idea fu rigettata da molti membri influenti. «La ‘ndrangheta voleva impadronirsi dello Stato, non scontrarsi con esso», ha dichiarato Iannò, riflettendo su come oggi la criminalità organizzata sia divenuta più spregiudicata.

Un’organizzazione globale: dalla Calabria al mondo
Iannò ha confermato l’espansione della ‘ndrangheta anche al di fuori dell’Italia, un’organizzazione globale con “locali” presenti in Australia, America e in diverse città europee. «A differenza di altre mafie – ha chiarito il pentito – la ‘ndrangheta ama stabilire un controllo territoriale diretto, formare un “locale” e imporre il proprio potere». Questa logica di controllo si estende anche su scala internazionale, dimostrando una volontà di controllo che va oltre i confini calabresi.

Conclusioni
Le rivelazioni di Iannò dipingono un quadro complesso della ‘ndrangheta, un’organizzazione che, in passato, preferiva la corruzione al conflitto diretto con lo Stato ma che, con il tempo, ha sviluppato metodi sempre più spregiudicati. La testimonianza offre una visione dall’interno su un mondo tanto segreto quanto radicato, i cui tentacoli si estendono ben oltre i confini calabresi, sfidando le istituzioni non solo italiane, ma anche estere.