L’inviato della nota trasmissione di Italia 1 – Le Iene – intervista il magistrato calabrese
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“La mia morte potrebbe essere l’inizio della fine della ‘ndrangheta”. Così il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, intervistato dall’inviato de Le Iene Luigi Pelazza. “Io vedo i figli per una o due volte al mese per una mezz’ora, cerco di stargli fisicamente vicino il meno possibile, per sicurezza. Non vado al cinema da 30 anni”, continua. E ancora: “Mi piacerebbe fare una passeggiata in bicicletta, l’ultima volta è stata nell’89”. Gratteri si fida di pochi persone, si sposta con una scorta composta da 5 auto e 10 uomini, e – come racconta nel servizio andato in onda nella puntata di martedì 11 aprile – se ci sono percorsi abitudinari, il caposcorta cambia sempre il tragitto. “Ci sono in particolare delle famiglie di ‘ndrangheta per cui ormai sono un’ossessione”. Spiega Gratteri. Il magistrato rivela di avere indagato e messo in prigione, in totale, tra le 2 e 3mila persone. Sicuramente avrò fatto anche qualche errore, l’importante è lavorare sempre in buona fede”. Cosa bisognerebbe fare per cambiare in meglio le cose e ripulire a fondo i territori dalla criminalità? “Nella macchina burocratica c’è veramente gente imbarazzante, incapace. Per cambiare devi fare quello che serve, a prescindere da chi può essere utile, senza guardare in faccia a nessuno”. Riguardo al suo stipendio e se sia una cifra giusta, il procuratore di Catanzaro risponde: “Prendo 7.300 euro al mese, i politici prendono il doppio? Se lavorano va benissimo, il problema è quando non fanno quello che devono”. “Quando un collaboratore ti racconta un omicidio, hai bisogno di un riscontro”. Così Gratteri in merito alla polemica relativa alle intercettazioni, di cui il ministro Nordio ha fatto intendere che se ne faccia un uso troppo disinvolto. “C’è da dire, che poi hanno spiegato al ministro come funziona e lui ha specificato che quelle frasi sulle intercettazioni non includevano indagini su mafia e terrorismo. Ma è importante che non vengano limitate nemmeno nell’ambito della pubblica amministrazione. Spesso lo snodo tra politica e criminalità passa per la pubblica amministrazione. Se le indagini si bloccano su quel fronte – conclude il magistrato calabrese, quello è grave”.