Ven. Ago 9th, 2024

Lo storico capo della ’ndrangheta lecchese è al 41 bis dal ’92 e per la Cassazione non ha mai “reciso i vincoli” con la sua organizzazione

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Il boss della ‘ndrangheta lecchese  Franco Coco Trovato deve restare al carcere duro, a Rebibbia: i giudici hanno respinto il ricorso del suo difensore, l’avvocato Valerio Vianello Accorretti, e confermato il precedente verdetto del Tribunale di Sorveglianza di Roma. Coco Trovato è al 41 bis dal 1992. E a quell’articolo dell’ordinamento penitenziario ha dedicato pure la tesi che gli ha consentito di conseguire la laurea in Giurisprudenza nel 2017. La Suprema Corta evidenzia, per motivare la decisione, “lo spessore criminale di Franco Trovato, al vertice della locale di ’ndrangheta di Lecco, operante in stretta sinergia con la cosca Di Stefano egemone sul territorio di Reggio Calabria”; e a tal proposito è stato ritenuto irrilevante “l’avvenuto divorzio di Giuseppina Trovato e Carmine De Stefano”, in considerazione del fatto “che il Trovato mantiene i contatti con il nipote Paolo”. Passaggio che necessita di una spiegazione: l’ascesa di Franco Coco Trovato nel Lecchese è dovuta proprio al matrimonio tra sua figlia e De Stefano, il cui padre è boss assoluto di uno dei potenti casati della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. È in ragione di questa unione che Coco Trovato è il boss di Lecco e costituisce in Lombardia un “locale” che non dipende direttamente da Marcedusa (centro in provincia di Catanzaro che ha dato i natali dal “capo”) ma da una delle capitali della ‘ndrangheta tant’è che Lecco diventa “società Maggiore”. Per il Tribunale, evidenza il Giorno, l’organizzazione criminale di cui Coco Trovato è stato dominus per decenni è attualmente operativa, come dimostrato da un’operazione del 2020 sulla cosca De Stefano e dai provvedimenti antimafia del 2021 della Prefettura di Lecco su imprese legate a parenti del boss. Il legale dell’ergastolano parla invece di riferimento “fuorviante” al passato criminale di Trovato, “dal momento che ci si riferisce a condotte poste in essere tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, senza che le stesse possano perpetrare sino all’attualità elementi di eccezionale pericolosità”. E sottolinea “il percorso detentivo intrapreso dal Trovato, caratterizzato da un comportamento corretto e da una presa di coscienza della sua situazione e dei delitti commessi, nonché dall’impegno nell’attività di studio e nell’attività lavorativa inframuraria”. I giudici, però, non hanno ravvisato elementi che facciano pensare a una “effettiva recisione dei vincoli”.
“Questa conclusione – si legge nella sentenza – viene costruita attraverso la valutazione dei colloqui in carcere del Trovato con i suoi familiari, dai quali si desume una perdurante attenzione alle vicende esterne, anche non riferibili al mero interesse affettivo, ma certamente riconducibili all’esistenza di rapporti economici e personali comunque evocativi dell’intento di continuare a conoscere le vicende dell’associazione”. Così come il percorso seguito dal detenuto “non pare tuttora essere accompagnato da una reale rivisitazione delle proprie scelte criminose e, pur in assenza di qualsivoglia collaborazione, comunque di una rielaborazione critica delle stesse, accompagnata da una precisa (e definitiva) crasi con il passato”.

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