Mar. Lug 16th, 2024

Dall’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro, la ricostruzione storica, i legami e gli interessi di uno dei più attivi e potenti clan di ‘ndrangheta attivi nel Vibonese. Il pentito Moscato: «Hanno più amicizie dei Mancuso». La paura degli amministratori e i contrasti con il clan di Limbadi

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La loro è una storia sanguinaria, fatta di omicidi, faide e lotte per il controllo capillare e asfissiante del territorio: quello di Sant’Onofrio ma anche Filogaso, Maierato e Pizzo, nel Vibonese. L’operatività del clan di ‘ndrangheta dei Bonavota, peraltro, è certificata dai processi alla criminalità organizzata degli anni 90 e cristallizzata non solo dalle dichiarazioni dei super collaboratori di giustizia come Andrea Mantella e Raffaele Moscato, ma anche dalla maxi operazione “Rinascita” che, quasi circa due settimane fa ha stroncato e raso al suolo i clan del Vibonese grazie al blitz coordinato dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri.

CONTROLLO E POTERE «Se uno vuole fare il malandrino, oltre che devi essere, devi avere pure la mentalità». È questa la “filosofia” del clan Bonavota, nient’altro che i consigli dati dal padre a Pasquale Bonavota e captati dagli investigatori nel corso di una conversazione avvenuta in carcere a Vibo Valentia. Un vero slogan che rappresenta l’eredità morale di Vincenzo Bonavota portata avanti proprio dal primogenito Pasquale, da Domenico Bonavota e Mico Cugliari. «Io li guardo con la coda dell’occhio, se no mi spavento pure a guardarli», questo invece il racconto di Onofrio Stinà a Brunello Cugliari, rispettivamente sindaco e vicesindaco di Sant’Onofrio nel 2005, segno del timore del primo cittadino nei confronti del clan Bonavota, sicuro di diventare loro vittima in caso di provvedimenti sgraditi nei confronti della consorteria criminale. Come ad esempio la possibile revoca della licenza dell’esercizio pubblico denominato “Eurobar”, ufficialmente gestito da Giuseppe Fortuna ma, di fatto, di proprietà di Nicola Bonavota.

LA STORIA DEL CLAN A fornire elementi fondamentali per la ricostruzione della storia del clan Bonavota, ci sono le dichiarazioni rese agli investigatori da Loredana Patania nel corso di un interrogatorio nel 2013. «L’originario capobastone, racconta, era Annunziato Bonavota detto ‘nzino, padre di cinque figli. Dopo la sua morte a prendere le redini in mano della famiglia è stato Domenico Cugliari noto come “Micu i Mela”». Anche Andrea Mantella ha indicato Pasquale Bonavota come l’attuale “capo-società” e “Micu I mela” vertice della consorteria. Ma il clan Bonavota cercò di ritagliarsi un ruolo da assoluto protagonista nel territorio vibonese già agli inizi degli anni ‘90. In mezzo due stragi. Come quella di Pasqua del 1990 quando a Sant’Onofrio, nei pressi della Stazione Carabinieri, un commando, costituito da quattro sicari incappucciati e che viaggiavano a bordo di una Fiat Uno, aprì il fuoco contro la Fiat 127 sulla quale viaggiavano Paolo Augurusa, che occupava il posto di guida, Rosario Petrolo, capo del clan avverso a quello dei Bonavota e Fedele Cugliari – cognato di Petrolo. Di quel violento commando facevano parte Salvatore Arone, Antonio “Famazza” Lopreiato e Bruno “Catalano” Di Leo. Seguì, nell’Epifania del 1991, un’altra strage che si colloca, in termini più generali, all’epoca della contrapposizione tra le famiglie mafiose operative nel territorio di Vibo Valentia e provincia, dei “Mancuso” e dei “Bonavota”, con le loro articolazioni capillari nel territorio. Per mano dei Piscopisani, persero la vita, assieme ad alcuni degli appartenenti al clan avversario, anche persone del tutto estranee al contesto mafioso. Una strage che segnò l’affermazione dei Lopreiato – agganciato ai Bonavota – formato da Emilio Antonio Bartolotta, Andrea Foti e Giuseppe Matina (marito della collaboratrice Loredana Patania), in aperto contrasto con il clan capeggiato da Michele Penna, vittima poi di lupara bianca.

L’ASCESA «Ma tu hai visto che a Sant’Onofrio hanno fatto un esercito o no? (…) E non hai visto quanti ne hanno loro quanti giovanotti ci sono». Questo quanto captato dai carabinieri nel maggio del 2017 a Pizzo. A parlare tra loro sono Luca Belsito senior e Onofrio D’Urzo, due intranei alla cosca, che ben fanno capire quanto e come il clan Bonavota fosse attivo e temuto. Sin dalle origini, infatti, la sete di potere dei Bonavota li spinse alla contrapposizione con i Mancuso, a cominciare dal boss Vincenzo Bonavota (capo riconosciuto già dal 1998). Lotta che proseguì poi con Pasquale Bonavota, Domenico Cugliari e Domenico Bonavota, il boss obiettivo del clan Mancuso. Erano loro a volere la sua morte, così gli stessi Bonavota volevano la morte di “Luni Scarpuni” Mancuso, così come confermato dalle importanti dichiarazioni rese da Moscato.

I MANCUSO E GLI ALTRI CLAN A Sant’Onofrio, dunque, comandano i fratelli Bonavota, affiancati dallo zio “Micu I Mela”. Un gruppo criminale esteso in tutta Italia (soprattutto Roma dove ha vissuto Pasquale) sebbene non si tratti di “Locale” ma un “Buon Ordine” riconosciuto nella ‘ndrangheta, ma visto con un valore minore. I Mancuso, ma non solo. Se da una parte i Bonavota volevano distaccarsi dal potente clan di Limbadi (così come è emerso peraltro nelle inchiesta “Nuova Alba”, “Crimine”, “Romanzo Criminale 1 e 2”) dall’altra la famiglia – secondo i racconti dei pentiti – aveva stretto amicizie con altri clan come ad esempio quello guidato da Rocco Anello, capo dell’omonima cosca di Filadelfia e la famiglia Alvaro di Cosoleto (RC). Ma anche i Commisso di Siderno, i De Stefano di San Luca e i Bellocco di Siderno, sempre nel Reggino.

LE ATTIVITÀ DEI BONAVOTA Quelle del clan di Sant’Onofrio sono attività redditizie e ben distribuite. Secondo le affermazioni del pentito Moscato i Bonavota «prendono estorsioni nel loro territorio ma anche nella zona industriale di Maierato». E poi gli agganci in Liguria con Raffaele Cangemi, quelli con Franco D’Onofrio in Piemonte, la droga trattata a Roma proprio da Pasquale Bonavota e i legami in Canada. «Hanno più legami e amicizie dei Mancuso», dice ancora lo stesso Moscato.

IL RUOLO DI PASQUALE BONAVOTA Dalle carte dell’inchiesta “Rinascita”, inoltre, emerge la figura di spicco di Pasquale Bonavota, grazie anche alle dichiarazioni dei pentiti Gerardo D’Urzo e Rosario Michienzi: Pasquale, di fatto, era un temuto killer, al pari di Domenico Di Leo, uno “sgarrista” che portava nella copiata il nome di Umberto Bellocco, appartenente al clan di Rosarno, fino a portarlo a far parte della società maggiore. Un ruolo di spicco detenuto insieme allo zio “Micu i Mela”.

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