Mer. Lug 17th, 2024

«Il Comune ha “mandato a dire” al fratello di smantellare tutto, come in una dittatura»«È una terra in cui vige la cultura del favore e del voto, strumento di corrispettivo alla soluzione dei problemi»«Mi strugge pensare che a mio figlio, rimasto senza giustizia, venga negata anche la memoria»

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«Dopo la morte fisica la morte del progetto». Sceglie come sempre con cura le parole Liliana Esposito, mamma di Massimiliano Carbone, il giovane imprenditore ferito a morte a Locri da mano ignota, il 17 settembre del 2004. Tiene tra le mani un foglio di carta che le è stato recapitato dagli uffici comunali, e il progetto di cui parla è quello a cui Massimiliano aveva dedicato tutte le sue energie, la cooperativa pubblicitaria “Arcobaleno”, portata avanti dopo la sua morte dal fratello Davide.

«La gioia della condivisione della memoria di Massimiliano, tra i tanti ragazzi degli Inter Club che ci hanno dato affetto e solidarietà – ci racconta la maestra Liliana – si è andata spegnendo all’ulteriore comunicazione pervenuta dall’Amministrazione di Locri, immemore di quanto precedentemente concordato. Con questa “mandata a dire” si ordina a Davide, fratello di Massimiliano, di smantellare il progetto del fratello ucciso. Non c’è posto per loro, in questa cittadina, che contiene ben altri siti forieri di opportunità di lavoro per altri. Dopo la morte fisica la morte del progetto, con un atto d’imperio degno delle migliori dittature».

C’è un disegno preciso, secondo lei, dietro all’ordine di smantellare i tabelloni pubblicitari?

«Cosa le devo dire? Forse per costoro si dovrebbe rimediare una strenna di cocci d’argilla; gli tornerebbe utile, e sarebbe immediato, diretto e inequivocabile il messaggio “vattene”. Come ai tempi dell’ostrakon, per chi ha cultura classica».

Quando era nata la cooperativa di Massimiliano?

«Nel 2002, la prima convenzione con il Comune la firmò lui in persona. Aveva cercato un modo per poter restare a Locri, magari per stare vicino a suo figlio? E perché no? In una realtà povera di opportunità si era lasciato andare a un’intuizione, e si era inventato un lavoro, una cosa senza ambizione e senza prospettiva di grande guadagno, ma onesta e originale. Una risorsa sarebbe stata per lui, per il fratello e i compagni, qualcuno con disabilità. L’aveva presa davvero sul serio, lui imprenditore delle sue stesse sole forze, serio e stimato. Bellissimo, elegante e profumato, si rimboccava le maniche ed io gli domandavo dove andasse: “ad attaccare manifesti” mi rispondeva, e i carabinieri e la polizia e magistrati mi hanno detto di averlo visto lavorare anche di notte».

Non era facile neanche a quei tempi, inventarsi un lavoro a Locri.

«Massi lo faceva con dignità e cortesia verso tutti. Lui preoccupato per le scadenze e le tasse, per quei clienti che non pagavano, per le pressioni di tanti piccoli invidiosi, sereno e gentile, disponibile con tutti, con le amministrazioni e con i privati. La sua grafia ordinata e diligente sui bollettari, e la sua tristezza per il figlio negato, i suoi sentimenti per la fidanzata, un’avvocata reggina».

Un sogno destinato a morire con lui, quindi.

«Mi strugge pensare che a Massimiliano, rimasto senza giustizia, venga negata anche la memoria, doverosa per una realtà in cui un giovane viene spezzato a 30 anni da una lupara e tutti tacciono pensando che “se così è stato deve essersela cercata”. Memoria è serenità di giudizio sui fatti, ed è custodia dei momenti di vita di quelli che sono assenti perché la violenza ce li ha tolti dagli occhi. Memoria è attingere alle loro idee e a quelli che sono stati i loro ideali, realizzando i loro progetti e facendo ogni possibile cosa perché possano continuare a vivere tra noi, e forse anche per noi».

Il suo stato d’animo, possiamo immaginarlo.

«Non chiamatemi più “mamma coraggio” per favore, questo solo vi chiedo. Sono solo io, povera donna con cuore di mamma. Ho la disgrazia dell’obbiettiva visione delle cose e delle persone attorno a me in questo paese in cui pago le tasse dal 1976. Se fossimo stati organizzati nei tre giorni di tempo prima dell’esumazione voluta dalla mamma di suo figlio, avremmo fatto cremare il corpo santo di Massimiliano, e saremmo andati via da questo paese. Che ora cancella il suo nome negando la sua laboriosità e distruggendo il suo lavoro come con un colpo di spugna su una lavagna. E sta uccidendo ancora mio figlio, Massimiliano Carbone, il ragazzo di Locri del 2004».

Da quindici anni a questa parte lei non è mai stancata di chiedere giustizia per suo figlio: è soprattutto questo a rendere onore alla memoria di Massimiliano.

«Ai tanti giovani ai quali ho parlato di speranza oggi chiedo perdono; l’ho fatto perché ci credevo. Non mi resta molto altro per formulare loro i miei auguri per un anno nuovo e per un futuro bello: siate capaci di giudizio critico e limpido sui manager ondivaghi di una certa politica che, sinceramente e ingenuamente, io avevo immaginato già satolli. Ma in Calabria imperverseranno ancora, per loro complessione e natura».

Le resta ancora un messaggio di speranza, per un nuovo anno?

«Auguri sinceri di vita felice e di lavoro gratificante, in una terra in cui vige la cultura del favore e del voto, strumento sacro di espressione di libertà, come corrispettivo alla soluzione dei problemi quotidiani. Auguri di sopravvivenza in un paese della legalità e della memoria, ma molto lontano dall’essere finalmente libero».

fonte gazzetta del sud

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