Mer. Lug 17th, 2024

Il sindaco in piazza usa parole forti contro «l’Antistato dei carrierismi che ci trasforma in demoni». Ma è un atto d’accusa contro un pezzo di Stato, colpevole – secondo l’avvocato – di aver «massacrato la città». E chiede di cancellare la norma sullo scioglimento dei consigli comunali. «Ma l’11 aprile sarò di nuovo sindaco»

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Toni non proprio understatement, un teorema e due proposte. Paolo Mascaro parla davanti ad alcune centinaia di persone in piazza Mazzini, a Lamezia Terme. E non c’è verso di “digerire” la sospensiva che ha cancellato temporaneamente la sentenza del Tar che aveva rimesso il sindaco al proprio posto.
Dunque, il teorema (urlato a squarciagola davanti a una platea che ha applaudito e accompagnato le parole dell’avvocato): un pezzo di Stato si è fatto «Antistato» per «massacrare la democrazia e Lamezia» e, assieme alla città, «uomini che amano la legalità e che si cerca di trasformare in demoni». Questo Antistato «delegittima e isola alcuni, vuole mandarli via perché sono pericolosi». È «un Antistato di carrierismi e provvedimenti massacratori».
Da qui le due proposte, alle quali Mascaro lega il proprio sciopero della fame: eliminare la norma che disciplina gli scioglimenti dei consigli comunali, perché «antidemocratica, repressiva, perché si presta a giochi di potere» e «difendere i piccoli territori con le nostre unghie di umanità e con i denti». 
È il succo del “complotto contro Lamezia”, abbracciato dal sindaco che aspetta la decisione del Consiglio di Stato. E non ha alcun dubbio: «Sono certo che tornerò sindaco tra pochi giorni – dice ai lametini arrivati per ascoltarlo –. Quando ci mandarono via la prima volta, quindici mesi fa, vi chiesi di difendere la città; oggi vi chiedo di lottare, di non disperdere le potenzialità e la passione di questa piazza. L’11 aprile vincerò e vincerà Lamezia, il 12 aprile sarò sindaco e il 13 festeggerò il mio compleanno con la fascia tricolore. Ma non mi basta, c’è una battaglia più grande di noi», che Mascaro chiede di combattere anche ai sindaci del comprensorio e al presidente della Provincia Sergio Abramo, presente nel giorno del proprio compleanno. È la battaglia contro «una norma illiberale, che non ci rende tutti uguali, una norma in nome della quale si è consumato un omicidio di piazza senza che nessuno sappia spiegare perché».

Abramo sottoscrive: «Non condivido questa sospensione dell’amministratore comunale di Lamezia Terme, è un vero peccato. Sono al fianco di Mascaro e di questa città, che non meritano questa gogna. Anche io oggi faccio una piccola protesta per chiedere e sollecitare una modifica delle norme sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose: con l’elezione diretta un sindaco non può controllare tutti i candidati, sarebbe più giusto colpire solo il singolo responsabile di certi atti e non un sindaco che è eletto dal popolo e che, nel caso di Mascaro, è un grande professionista, un grande avvocato e un grande sindaco». Il sindaco di Catanzaro, al solito, misura le parole; il suo collega invece è un fiume in piena. Ricorda tutto il percorso che ha portato allo scioglimento, ricostruisce la propria difesa, sottolinea che la sua prima frase («Non troverete nulla») è stata confermata dai giudizi: «Sono passati 18 mesi e le mie parole sono state confermate, non vi è un atto amministrativo in cui si trovino infiltrazioni o condizionamenti della criminalità». Sul conto di Lamezia e del suo consiglio, dice, sono state «scritte sciocchezze e falsità, e fatte asserzioni di colossale ignoranza». Sempre da quell’«Antistato» che è un pezzo di Stato. Mascaro parla della sentenza del Tar del Lazio come della «primavera che il 22 febbraio albeggiava su Lamezia» e del breve “secondo mandato” come «17 giorni di rinascita». Il suo obiettivo sono i commissari straordinari, colpevoli di aver trascinato la città in basso: «Non si era neppure provveduto alla revisione annuale delle partecipate, con il rischio di una multa di 500mila euro, vostri soldi». 
Dopo la rinascita, arriva la «trappola mortale», proprio mentre Mascaro abbraccia i ragazzi della “Lucky Friends” di ritorno dai successi di Dubai: «L’ho fatto con la morte nel cuore, sapevo che l’Antistato stava per pugnalarci». La scansione temporale – richiesta di sospensiva, difesa degli avvocati («che hanno lavorato fino a mezzanotte»), decisione del Consiglio di Stato di riallontanare il Consiglio “inaudita altera parte” – fa innalzare ancora (se possibile) i toni. «Perché si concede la sospensiva? Perché il decorso temporale potrebbe impedire la prosecuzione dell’efficace opera di risanamento portata avanti dalla commissione straordinaria. Vergogna, è per questo che vi hanno mandato via. Ma nessuna fredda burocrazia potrà cancellare la passione e l’investitura popolare». L’appello successivo è al ministro dell’Interno, al presidente del Consiglio e ai giudici: «Rimediate al ridicolo che sta massacrando l’Antistato». 
Poi una stoccata agli oppositori politici: «Voi che dite di amare la legalità avreste dovuto farla rispettare anziché tenere nel cassetto una sentenza che avrebbe causato problemi ai vostri sodali di partito. Adesso mettete da parte il sogno di diventare sindaci, in fondo non è neanche detto che mi ricandidi, pensate solo ad amare questa città, amatela». Le note di Vasco Rossi chiudono 40 minuti di racconto alla piazza. Un racconto accorato e rabbioso. Che trascina con sé un “bug” comunicativo impossibile da non notare. Senza entrare nel merito della fondatezza del “complotto contro Lamezia” evocato da Mascaro, a queste latitudini l’Antistato è (sempre stato) un’altra cosa. Con nomi e cognomi precisi. (p.petrasso@corrierecal.it)

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