Numeri (e qualche paradosso) del Decreto Calabria. Che boccia i vecchi commissariamenti (per proporne di nuovi) e l’«inefficienza generalizzata» del sistema. Ma sui vecchi dg dice: «Avevano stipendi bassi. Auspichiamo che i prossimi non siano calabresi»
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L’incipit del provvedimento che commissaria la sanità calabrese sembra paradossalmente dare ragione a Mario Oliverio – che nei commissariamenti individua il peccato originale dello sfascio. In cinque righe, la relazione illustrativa del Decreto Calabria spiega che, dopo anni, e «nonostante i molteplici interventi sostitutivi governativi» si registra «una grave situazione di stallo, se non di peggioramento della maggior parte degli indici di misurazione sia delle capacità organizzative-gestionali del servizio sanitario regionale nelle sue diverse articolazioni, sia del corretto utilizzo delle risorse, e sia della qualità dei servizi sanitari resi ai cittadini e nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza». Insomma, i commissariamenti hanno fallito. Dunque bisogna commissariarli.
IL CONTESTO CRIMINALE Al di là del cortocircuito logico, la relazione illustrativa della norma varata nel Cdm straordinario di Reggio Calabria è, almeno in principio, più che un attacco alla Regione (di fatto spogliata dei propri poteri) una ricostruzione di contesto che sfocia in una misura emergenziale. E il contesto, per il governo, significa ‘ndrangheta. Le «infiltrazioni della criminalità organizzata» occupano la parte iniziale del documento che “racconta” il decreto. E non si tratta di soli cenni storici (dal delitto Fortugno allo scioglimento delle Aziende sanitarie di Locri, Reggio Calabria e Vibo Valentia). Il ragionamento cita ampi stralci della relazione della Commissione d’accesso antimafia che ha suggerito al prefetto prima e al ministro dell’Interno di poi di sciogliere l’Asp di Reggio. C’è il «caos amministrativo e gestionale» assieme a «elementi di condizionamento e di infiltrazione criminale che vi sono connessi, o perché sono causa o concausa della predetta cattiva gestione amministrativa che regna sovrana oppure perché, viceversa, trovano nella rilevata “mala gestio” e nella confusione terreno fertile per attecchire». È un melting pot micidiale, perché la «cattiva gestione» non è «solo effetto dell’incapacità del personale e dell’inefficacia dell’azione amministrativa», ma «il risvolto della presenza di interessi illeciti nella vita amministrativa dell’Azienda». Nell’Asp non si riesce ad «avere contezza delle mansioni attribuite a ciascun dipendente, dell’effettiva attività svolta, della identificazione del posto in organico e della figura professionale che ricopre». E nessuno ha cercato di rimettere ordine nel caos contabile.
Reggio non è sola. Perché, «di recente, si è insediata un’ulteriore Commissione d’accesso antimafia presso l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro». Altro tassello di un mosaico che induce a «misure – come, ad esempio, quelle relative alla gestione degli appalti e sul dissesto – in grado d’introdurre una decisa discontinuità rispetto al passato».
Il caos è la cifra della sanità regionale, a prescindere dal colore politico dei governi che si sono alternati. Un caos alimentato anche dalle «note divergenze emerse tra i vertici politici regionali e la struttura commissariale». Gli scontri Scura-Oliverio, il «depotenziamento del dipartimento Tutela della Salute lamentato dall’ex commissario davanti alla Commissione Sanità del Senato», le accuse alla struttura commissariale di non coinvolgere nelle decisioni il livello politico: tutto ha contribuito a paralizzare un sistema già in crisi.
L’INEFFICIENZA I dati della Corte dei conti sui ritardi nei pagamenti, sulle difficoltà nella presentazione dei bilanci (quello dell’Asp di Reggio manca dal 2013) peggiorano un quadro che coinvolge, «senza apprezzabili differenze, tutte le diverse gestioni politiche e amministrative che si sono succedute nel tempo». L’elemento «unificante» è «l’inefficienza, che non si manifesta sotto una veste difforme a seconda delle diverse cornici territoriali ma che, all’opposto, evidenzia affinità nei vari contesti infraregionali, a iniziare dalle realtà più compromesse, offrendo in tal modo uno spaccato omogeneo delle distorsioni del sistema». Ci sono «casi di buona sanità, anche con punte di eccellenza, e si rilevano anche tante figure di professionisti di assoluta competenza», ma questi casi «si devono soprattutto alle qualità ed all’abnegazione di singoli professionisti sanitari». Torna la parole chiave: inefficienza come «tratto dominante del sistema sanitario calabrese, al punto da conferire a quest’ultimo le caratteristiche tipiche di un sistema strutturalmente debole, stretto nella combinazione tra un governo regionale incapace di imporre scelte di rinnovamento, un governo aziendale troppo spesso privo di capacità di gestione, una diffusa inadeguatezza strutturale dei presidi sanitari, una generalizzata disorganizzazione amministrativa e gestionale e, ultimo ma non ultimo, una pervicace sovrapposizione degli interessi tipici della criminalità organizzata: un insieme di fattori che ha pregiudicato le esigenze assistenziali e che preclude un governo efficace della spesa, determinando il permanere di disavanzi, prima delle obbligatorie coperture fiscali».
COMMISSARI DA 200MILA EURO ALL’ANNO La Regione, dunque. Incapace di imprimere la sterzata che il governo – soprattutto la sua parte grillina – intende assestare. O, peggio, così disattenta da effettuare verifiche troppo leggere sui manager, tanto da premiarli con «tutti gli emolumenti accessori connessi al raggiungimento degli obiettivi gestionali». Il vero nodo politico del decreto – la nomina dei commissari straordinari affidata di fatto al commissario Cotticelli – introduce un nuovo paradosso. Avete presente la critica ai direttori generali che guadagnano troppo, ai privilegi dei manager? Non è poi così fondata, stando a quanto si legge nella relazione che accompagna il Dl approvato dal governo Conte a Reggio. Ecco il passaggio che sembra smontare anni di critiche: «Il reperimento di figure di elevata qualificazione professionale è reso oggettivamente più difficoltoso dalla circostanza che la retribuzione prevista da quella Regione per l’incarico di direttore generale (pari a euro 123.949,65 lorde) è tra le più basse tra quelle previste dalle Regioni». I manager calabresi – lo dice il decreto che smonta la sanità calabrese – sono tra i meno pagati. E per questo (è uno degli argomenti utilizzati da Oliverio nella sua critica all’impostazione del Decreto Calabria) bisogna aumentare i loro stipendi. In effetti, una parte della norma individua «il compenso aggiuntivo dei Commissari straordinari, nella convinzione della scarsa attrattività di un incarico estremamente limitato nel tempo e connotato da un indiscutibile carattere di complessità, nonché non privo di rischi connessi da un contesto ambientale in cui si sono verificati, come noto, molteplici casi di malaffare, per i quali è stata accertata la responsabilità di dipendenti delle aziende sanitarie, e, addirittura, taluni, ripetuti scioglimenti per infiltrazioni mafiose, oltre che gravissimi episodi delittuosi proprio ai danni di alcuni dirigenti medici locali (su tutti l’assassinio del dirigente medico dell’ex Asl di Locri, dr. Francesco Fortugno)». La sanità calabrese è pericolosa: (quasi) un teatro di guerra nel quale servono soldati specializzati e adeguate indennità di rischio. Per questo, «ferma restando la retribuzione corrisposta, a carico della Regione, per l’incarico di direttore generale», lo Stato si fa carico di un emolumento aggiuntivo, pari a 50mila euro lordi. Per i commissari straordinari residenti fuori regione è previsto, inoltre, il rimborso delle spese documentate entro un limite massimo di euro 20.000 annui. Spesa – questo rimborso – che il governo si “augura” di dover sostenere, «essendo massimamente auspicabile che i soggetti scelti per l’incarico commissariale provengano al di fuori del contesto professionale e ambientale della Regione». In totale fanno circa 200mila euro l’anno, poco meno dello stipendio del Presidente della Repubblica. Un po’ di conti: le aziende sanitarie regionali sono nove, dunque l’emolumento aggiuntivo potrà impegnare, al massimo, 450mila euro annui cui potranno essere aggiunti, nel caso in cui tutti e nove i commissari straordinari dovessero essere individuati fuori Regione, 180mila euro annui per il rimborso delle spese documentate. La spesa massima sarà di 630mila euro all’anno.
VENTI FINANZIERI PER LA SANITÀ Altri costi sono previsti per l’affiancamento dei commissari da parte di Agenas (per i temi che riguardano la tenuta dei conti) e Guardia di finanza. L’Agenzia costerà al massimo di 2 milioni di euro per l’anno 2019 e di 4 milioni di euro per il 2020, ma questi costi «sono sostenuti a valere sull’avanzo di amministrazione di Agenas», avanzo che «in media, è stato pari, nell’ultimo quinquennio, a circa 6 milioni di euro annui» e dunque dovrebbe «coprire gli oneri senza necessità di ulteriori finanziamenti pubblici». Tutti i commissari, invece, potranno avvalersi della collaborazione della Guardia di Finanza. «Al riguardo – si legge nella relazione tecnica che accompagna il decreto –, è stato ipotizzato l’impiego nella Regione Calabria – a supporto della struttura commissariale – di un’aliquota di 20 militari composta da un ufficiale superiore, nel grado di Tenente Colonnello, 10 ispettori nel grado di maresciallo aiutante, 7 ispettori nel grado di maresciallo capo, 2 appuntati scelti. La spesa massima ipotizzabile – determinata “lordo Stato” – connessa a tale impiego, è pari a 316.830,50 euro all’anno (240 giorni lavorativi)».