Ven. Ott 18th, 2024

Riportiamo, integralmente, l’omelia di Sua Eccellenza, monsignor Francesco Oliva, vescovo della Diocesi di Locri – Gerace

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Benvenuti fedeli delle diverse comunità parrocchiali, sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, ministranti … Autorità civili e militari.

Siamo convenuti per celebrare in modo solenne la Patrona della diocesi, l’Immacolata. È la prima volta che lo facciamo con tanta solennità e partecipazione. Ma è giusto poter iniziare a vivere questa solennità per gustare la bellezza e la gioia dell’essere comunità diocesana, rinnovando insieme la nostra fedeltà a Dio. Tutto questo è stato proposto e voluto dal Consiglio presbiterale come desiderio dei presbiteri e delle comunità parrocchiali.

Nel proclamare l’Immacolata patrona della Diocesi, pensavo ai nostri piccoli borghi, che, per usare una espressione cara a Giorgio La Pira, sono un “luogo della geografia della grazia”. Essi raccontano una storia antica di fede, di santità, di tradizioni religiose, di arte e cultura, che fanno l’identità religiosa della nostra diocesi. Un tempo nel primo millennio diocesi di Gerace, ora diocesi di Locri-Gerace. Tanti altri cambiamenti territoriale e sociali si sono succeduti negli anni. È la realtà storica che muta ed è soggetta a continue trasformazioni che interessano anche la vita e la comunità religiosa. Oggi i nostri piccoli borghi risentono di un continuo spopolamento. Il trasferimento di molti abitanti dalle zone collinari a quelle del litorale e nelle zone rurali, dovuto spesso a calamità naturali, ha cambiato la geografia della nostra terra. Le comunità civili si trovano in difficoltà nel dover affrontare il problema dello spopolamento dei centri storici, della denatalità, dell’emigrazione senza speranza che chi parte ritorni al paese d’origine. Possiamo accettare passivamente questi cambiamenti che rischiano di cancellare le radici della nostra gente con la propria storia? La custodia, conservazione e cura di questi borghi è un fatto di civiltà. È un bisogno che tutta la comunità avverte: non possiamo che consegnare ai nostri amministratori questa preoccupazione condivisa.

La diversa distribuzione della popolazione pone anche seri problemi dal punto di vista pastorale. Come comunità cristiana ci chiediamo: come continuare il cammino di evangelizzazione in queste nuove realtà? Cosa fare perché la fede nel Signore Risorto continui a dare speranza alla nostra terra?

Sono interrogativi che c’interpellano anche in questa solenne celebrazione dell’Immacolata. Nella Vergine Immacolata vediamo l’aurora di un’umanità nuova, la bellezza originaria dell’umanità, quella precedente il peccato di Adamo ed Eva. Un’umanità dove appare la bellezza del suo amore creatore, dove non prevale più il dominio del peccato con la empietà e violenza.

La devozione all’Immacolata vorrei che si traducesse ogni anno in un atto di affidamento a Maria della nostra comunità diocesana e dell’anno pastorale che inizia con la prima settimana di avvento. Un’occasione per rinnovare anche la nostra fede in Maria nostra madre e modello di santità.

Un mistico medioevale, Riccardo di San Vittore, diceva che “Ubi amor ibi oculus”, dove c’è amore, lì c’è uno sguardo. C’è lo sguardo di Maria su tutte le nostre comunità, che la venerano e lodano. C’è lo sguardo di Maria sulla Diocesi, sui nostri paesi. Uno sguardo che penetra nella mente e nel cuore, che ci accompagna sempre. Il suo è uno sguardo d’amore misericordioso, che vede le nostre fragilità, soffre per esse, ci indica percorsi di prossimità e di accoglienza. Nel corso della visita pastorale sto incrociando lo sguardo di Maria in tanti fratelli e sorelle sofferenti durante la visita pastorale. Essi non chiedono preghiere, ma promettono di pregare ed offrire la loro sofferenza per la nostra Chiesa. Poco tempo fa riempivano le nostre chiese, ora rendono presente la chiesa nelle nostre case. Sono essi la chiesa domestica, che spera, che prega, che invoca e loda Dio, pronta a consegnarsi nelle sue mani. Non dimentichiamoli: sono tanti i ministri straordinari della comunione che vanno a trovarli, ma non può mancare la visita mensile del parroco.

Accogliere l’Immacolata come Patrona della diocesi è vedere la nostra Chiesa col volto di Maria, ad immagine di Lei che si è fidata del Signore.

All’inizio di questo nuovo anno liturgico-pastorale, affido a Maria il cammino della nostra chiesa: in Lei possiamo riscoprire la nostra vera identità. La Chiesa che vogliamo è la chiesa col volto di Maria. Sì, la Chiesa ha il volto di Maria! Guardandola, riscopriamo in Lei il volto della Chiesa; e guardando la nostra Chiesa, dobbiamo poter ritrovare in essa i lineamenti di Maria. C’è perfetta simbiosi tra Maria e la Chiesa: Maria è madre, ma lo è anche la Chiesa.

Ci chiediamo: come la nostra Chiesa riproduce in sé il volto di Maria?  Quali sono i tratti della bellezza di Maria che la nostra Chiesa deve far suoi?

Una Chiesa col volto di Maria è una Madre che genera vita.

In questo tempo di Avvento, imitiamo la fede di Maria, che ha portato nel grembo il Figlio dell’eterno Padre. 

Leggiamo nell’EG:

Ai piedi della croce, nell’ora suprema, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e il popolo legge in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo. Al Signore non piace che manchi alla sua Chiesa l’icona femminile» (EG 285).

Nell’atto supremo della sua vita Gesù ci affida la madre Maria che diventa nostra madre. Un dono incommensurabile. Lo fa perché sa bene che abbiamo bisogno di una mamma come Lei. Maria è una madre diversa, tutta santa, immacolata. Più che della madre che ci ha generato nel corpo, Maria è la madre che accoglie la Parola e la vive nel silenzio del suo cuore. Come scrive san Agostino nel Sermone 215, 4, “La Vergine Maria partorì credendo quel che concepì credendo.: “Chi è mia madre…? Per Gesù è la madre che accoglie la Parola e fa la volontà del Padre: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12, 46-50).

La maternità di Maria va oltre quella fisica: è una maternità correlata a quella della Chiesa. come Maria anche la Chiesa è nostra madre, è la madre che ci genera alla vita di Dio, ci accoglie nel Battesimo. Ogni volta che viene battezzato un bambino, diventa figlio della Chiesa, ne entra a far parte. E da quel giorno, come mamma premurosa, ci fa crescere nella fede e ci indica il cammino di salvezza, ci difende dal male. Non dimentichiamo di essere figli di questa madre. Amiamo la nostra chiesa, che incontriamo nelle diverse parrocchie. Non le riserviamo solo ostilità e cattiverie. Non è estranea a noi. È il grembo che ci dà vita e ci accoglie. Quando usiamo la parola “chiesa”, ricordiamo che stiamo parlando di noi stessi. Forse in questo tempo troppo spesso la si vede sterile e poco capace di generare nuova vita. Tante nostre chiese stanno invecchiando: non ci sono più ragazzi e giovani. È un dato da prendere in seria considerazione. Vogliamo una Chiesa più giovane.  È questa la grande sfida che ci attende in questo tempo sinodale:

Se noi come Chiesa non sappiamo generare figli, qualcosa non funziona, dice papa Francesco. La grande sfida della Chiesa oggi è diventare madre, madre, non una Ong ben organizzata, con tanti piani pastorali; ne abbiamo bisogno, ma quello non è l’essenziale, quello è un aiuto alla maternità della Chiesa».

 Vogliamo essere Chiesa col volto di Maria, il volto di una chiesa che evangelizza:

Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti…

La Chiesa evangelizza sul modello di Maria, stella della nuova evangelizzazione: «L’identità della Chiesa è fare figli, cioè evangelizzare», non fare proseliti: «la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione materna, per questo bisogna offrire la maternità, la Chiesa cresce per la tenerezza».

La gente deve sentirsi a casa sua, quando viene in chiesa. Vorrei chiedere: ci sentiamo a casa nostra quando frequentiamo le nostre parrocchie?

La generatività della chiesa è tornare ad essere madre per tutti: una Chiesa che si converte e genera nuovi percorsi di evangelizzazione.

Come rendere generativa la nostra chiesa?

La Chiesa diventa generativa “per attrazione materna”, attrae con la sua tenerezza di madre, la sua testimonianza: è attraente e generativa solo se capace di trasmettere la gioia del Vangelo attraverso gesti di misericordia, di compassione, di accoglienza, di perdono e di benevolenza. È attraente e generativa quando l’uomo e la donna di oggi attraverso di essa incontrano il Signore della pace, trovano in essa una fonte di riconciliazione, vedono attraverso di essa il volto della misericordia del Padre.

La Chiesa è generatrice, se ha il volto di Maria, l’umile serva del Signore. In Maria il mondo vuole vedere il volto di una Chiesa serva,la «chiesa del grembiule», per usare un’immagine molto nota del santo vescovo don Tonino Bello. La Chiesa, che si fa serva attraverso i suoi figli, servitori gli uni degli altri. Un servizio di amore che non va in cerca di onori, di riconoscimenti e di visibilità. Quando manca c’è umiltà nel servire, il servizio diviene affermazione del proprio Io ed offende la dignità di chi lo riceve.

È questa, fratelli e sorelle, la Chiesa che siamo chiamati a realizzare nella Locride: una Chiesa che accoglie, serve, ama, perdona. La fecondità della nostra chiesa dipende proprio da tutto questo: dalla sua capacità di accoglienza, dalla sua generosità nel sevizio, dall’amore che riversa in tutte le sue azioni, dalla dispensa del perdono. Senza misura e senza tornaconti personali. C’è bisogno di una Chiesa più sinodale e missionaria, una porta aperta a tutti, un “porto salvo” di misericordia ed approdo di salvezza.

Una chiesa generativa è riflesso del volto di Maria, donna “piena di grazia”.

​            Lasciamoci attrarre dalla bellezza di Maria Immacolata. Contempliamo il suo volto mentre ci immergiamo nella meditazione dei misteri del santo rosario. Il Vangelo, che narra l’Annunciazione, ci presenta il saluto a Maria con una parola non facile da tradurre, “kekaritomene“, che significa “colmata di grazia”, “creata dalla grazia”, “piena di grazia” (Lc 1,28). Prima di chiamarla per nome, l’angelo la riconosce piena di grazia, e così rivela il nome nuovo che Dio le ha dato e che le si addice più del nome datole dai genitori. Anche noi la chiamiamo così nell’Ave Maria.

Che cosa vuol dire piena di grazia se non che Maria è piena della presenza di Dio? Interamente abitata da Dio, non c’è posto in lei per il peccato. È una creatura straordinaria, una stella che brilla in un mondo corrotto dal male. Ciascuno di noi, guardandosi intorno, vede dei lati oscuri. Maria è l’unica “oasi sempre verde”, la sola incontaminata, creata immacolata per accogliere, con il suo “sì” Dio che veniva nel mondo ad iniziare una storia nuova.

La piena di grazia è vuota di peccato, è “più giovane del peccato”, “la più giovane del genere umano” (G. Bernanos, Diario di un curato di campagna, II, 1988, p. 175). È sempre giovane, perché mai contaminata dal peccato.

Come Maria, la Chiesa è piena di grazia e di carismi. Non per suo merito, ma perché anche Lei resa tale dallo Spirito Santo. Lo Spirito suscita nella chiesa carismi, che la rendono bella, l’arricchiscono e creano l’unità. Solo lo Spirito Santo può suscitare tanta diversità e molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Ciò che fa bella la Chiesa è la varietà dei carismi di cui ciascun suo membro è portatore. La sua bellezza e ricchezza è data da questa varietà. Siamo una rete carismatica che unisce ed arricchisce il mondo. Non teniamo per noi stessi quei carismi che lo Spirito ci ha conferito per il bene comune.

Nel nostro cammino di fede, se ci lasciamo guidare dallo Spirito, supereremo le incomprensioni, le divisioni e le controversie: saremo segno credibile di unità e di pace.

Chiediamo alla Vergine Immacolata perché con la sua presenza e vicinanza renda la nostra Chiesa casa che accoglie, una madre per quanti vengono tra noi, stranieri, migranti e profughi.

Vergine e Madre Maria,
tu che, mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita
nella profondità della tua umile fede

Ottienici ora un nuovo ardore di risorti
per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Donaci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.