Mar. Lug 16th, 2024

Ancora una volta presso il Santuario Diocesano Nostra Signora dello Scoglio, fondato da Fratel Cosimo mezzo secolo fa, è stata celebrata una giornata importante di preghiera contro la violenza sulle donne. A presiedere tutte le sacre funzioni, come sempre, il Vescovo della Diocesi di Locri – Gerace, monsignor Francesco Oliva. Considerata l’importanza dell’evento, allo stesso, ha presenziato il Questore di Catanzaro, la dottoressa Amalia Di Ruocco, accompagnata dal suo staff. Presente anche il comandante della Compagnia di Roccella Jonica, il capitano Carmelo Beringheli, il governatore delal calabria, Oliverio, il sindaco di Placanica, Condemi, di Caulonia, Belcastro e di Cosenza, Mario Occhiuto. La giornata è trascorsa tranquillamente, grazie a un ottimo servizio d’ordine disposto dal Questore di Reggio Calabria, dr. Grassi, attraverso il Commissariato di Siderno, diretto dal dottor Cannarella. Dopo un breve momento di preghiera iniziale, sul tema specifico della giornata, guidato dal Successore degli Apostoli, all’interno del quale, a tutte le persone di sesso femminile, presenti al santuario mariano, sono state donate delle preghiere di Nostra Signora dello Scoglio e un ramoscello d’ulivo, in segno di pace, vi è stata l’evangelizzazione di Fratel Cosimo. Dopodichè ha avuto inizio la Santa Messa, la cui animazione è stata curata dal corso San Michele Arcangelo, di Caulonia Superiore, diretto dalla maestra Susanna Panetta. Alla divina liturgia, presieduta dal vescovo Oliva, è seguita la processione con il Santissimo Sacramento, quindi la preghiera di intercessione, per gli ammalati e sofferenti, di Fratel Cosimo. Durante la Santa Messa, il pastore diocesano, ha evidenziato l’importanza della catechesi di Fratel Cosimo e ha poi espresso: ““L’Avvento è tempo di attesa, di conversione, di speranza”: il tempo della venuta o del ritorno del Signore. E’ allora tempo di attesa vigilante. Ma l’Avvento è ancora tempo di attesa? Attendiamo ancora qualcosa? O siano sazi, tanto che tutto sembra svolgere al ritmo del “dejà vu”. Nulla di nuovo sulla terra. L’assuefazione alla vita, il non attendersi più nulla rischia di caratterizzare questo nostro tempo. Eppure non si può vivere senza speranza, senza attendere.
La Parola di questa I domenica dell’anno B ci mette davanti una novità assoluta. Il Signore viene, nella nostra storia. Siamo qui allo Scoglio come ormai accade di frequente da 50 anni ormai. Qual è la nostra situazione personale? Forse stiamo attraversando un momento difficile e buio, se non addirittura disperato, da cui non riusciamo a uscire con le nostre sole forze. Siamo qui con i nostri affanni, le nostre delusioni, la nostra umanità. Qui portiamo i nostri problemi: di genitori, di nonni, di figli. Qui ci attendiamo qualcosa di nuovo. La nostra situazione è descritta dal profeta Isaia: “Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità”.
C’è attesa in tutti noi, bisogno di novità. Ma anche tanta voglia di rinnovamento. Apriamo la nostra mente ed il nostro cuore all’invocazione di Isaia: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is. 63,17). Quel grido in qualcuno può perfino essere divenuto rassegnazione al silenzio di Dio, al suo cielo chiuso, fino a far sospettare che sia inutile sperare, essere onesti o invocare aiuto, che sia vano continuare a implorare: “Vieni; Signore Gesù”. Pensiamo che Dio sia assente dalla nostra vita, che le cose non cambiano: non trovo lavoro; non riesco a guarire da questa malattia; non vedo mio figlio da molto tempo, non mi cerca; non riesco più ad uscire dalla mia rassegnazione. Sono stanco, annoiato di tutto. Non mi attendo più nulla dalla vita.
Da questo torpore la liturgia ci scuote, ricordandoci la nostra responsabilità. Il Vangelo di Marco, che leggeremo nel corso di questo nuovo anno liturgico, propone il passaggio conclusivo del discorso escatologico sulla parusia, il ritorno del Signore glorioso. Due importanti indicazione ci vengono dal Vangelo attraverso i verbi: “Fate attenzione” e “Vegliate” (Mc 13,33). Sono due indicazioni, che costituiscono, per noi, un vero e proprio programma di vita. Non sono date indicazioni sulla fine, ma si tratta di un insegnamento pratico rivolto ai credenti mediante la parabola di un uomo che, partendo per un viaggio, ha dato potere ai suoi servi e ha affidato un compito a ciascuno di essi. L’insistenza è sull’atteggiamento di vigile e operosa responsabilità custodendo e incrementando ciò che appartiene al padrone della casa. Quando, infatti, egli ritorna si aspetta di trovare i suoi servi svegli, all’opera, impegnati nel loro compito.
Essere attenti, fare attenzione. La persona attenta è quella che, tra i rumori del mondo, non si lascia travolgere dalla distrazione o dalla superficialità, ma vive in maniera piena e consapevole. Il “fate attenzione” rimanda agli altri, all’attenzione da prestare a chi ci sta attorno. Nell’appello a vegliare c’è l’invito pressante a non lasciarci sopraffare dal sonno dello scoraggiamento, della mancanza di speranza, della disillusione; c’è anche l’invito a non far nostre le tante inutilità di cui trabocca il mondo e dietro alle quali, a volte, sacrifichiamo tempo e serenità. Oggi ci lasciamo sorprendere dall’invito a fare attenzione al nostro tempo e alla nostra storia. Stiamo pregando per le donne vittime di violenza. Spesso la violenza si annida nelle nostre famiglie. E allora occorre vigilare sulla nostra casa. Non abbandoniamo l’affetto e l’amore che l’ha costituita. Vigilare è non assopirsi e distrarsi in altro. Forse la crisi della famiglia oggi dipende anche dai cristiani che hanno dimenticato che la famiglia era come un campo da coltivare, ove invece a causa dell’abbandono sono cresciute le erbacce che l’hanno resa sterile e quindi covo di ogni genere di negatività. Spesso a causa del suo abbandono la famiglia ha trasformato gli affetti in odi, inimicizie e violenze varie. E allora ecco il bisogno di conversione.
Vigilare sulle relazioni umane, tra le persone, tra l’uomo e la donna. Le relazioni ci rendono più umane ma se non le coltiviamo e le abbandoniamo a se stesse è facile che serpeggi l’odio e la violenza. Dio ci ha posti in un giardino da vivere e coltivare, da custodire con amore e ogni attenzione. L’attenzione va sul mondo: si resta provati dal suo carico di barbarie, ma si gode anche del tesoro di bellezza che esprime e che domanda di essere custodito. Chi educa se stesso a questo sguardo non stenta a riconoscere la grandezza nascosta nelle piccole cose di ogni giorno, che accadono proprio lì dove il Signore ci ha posto.
Tempo di avvento, occasione propizia per vincere la mondanità. Papa Francesco c’invita a contrastare la logica dell’indifferenza con la logica della solidarietà… Solo così ci si accorge veramente delle lacrime e delle speranze che avvolgono il nostro prossimo, evitando di svilire le relazioni in rapporti strumentali e interessati. Aprendosi agli altri si può superare la tristezza che avvolge la propria vita. Tempo di sobrietà e carità: il fondo di solidarietà mettendo da parte il 5% della spesa fatta per l’Altro, quello che non conosciamo e che ha bisogno di noi. Consegneremo i nostri risparmi in Parrocchie entro l’epifania, in modo da poterlo redistribuire tra i poveri del villaggio. Prestare attenzione e vegliare: sono i presupposti per non continuare a “vagare lontano dalle vie del Signore” (Is. 63,16), smarriti nei nostri peccati; sono le condizioni per permettere al Signore di irrompere nella nostra esistenza con la sua vicinanza e presenza restituirle.”

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