La guerra decennale tra i Cataldo e i Cordì e il patto di spartizione al 50 per cento
«Emblematico era l’auspicio espresso da Pelle sulla buona riuscita del processo di riappacificazione»
Dagli esiti dell’istruttoria del procedimento “Mandamento Jonico”, si cristallizza l’intervenuta “pace di Locri” tra le opposte consorterie dei Cataldo e dei Cordì. Nella sentenza del tribunale di Locri, infatti, si riassume la vicenda del “locale di Locri” dall’origine dei contrasti tra le due famiglie, che si scatenò con la cosiddetta strage del mercato di Locri, avvenuta il 23 giugno del 1967, quando un commando giunto a bordo di un’auto di grossa cilindrata uccise Carmelo Siciliano, Vincenzo Saracino e Domenico Cordì, questo ultimo fratello di Antonio e di Cosimo Cordì. Seguirà una lunga scia di sangue e morti in entrambi gli schieramenti fino a giungere prima alla “tregua” seguita all’operazione “Primavera”, che portò in carcere esponenti e gregari dei due clan, quindi a un rigurgito tra il 2004 e il 2005, fino a giungere alla conclusione con l’ormai celebre frase “Locri è Unita”, intercettata nella lavanderia “Apegreen” di Siderno, nel corso di una conversazione poi finita agli atti del procedimento convenzionalmente denominato appunto “Locri è Unita” che rappresenta l’epilogo processuale della pace sancita tra le due famiglie.
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Il dialogo vedeva impegnati un esponente della famiglia “Aversa” di Locri e il boss sidernese Giuseppe Commisso (cl. 46) detto “il mastro”. «Aversa: Va bene. ma Locri è unito… Locri è tutto unito, voglio dire Locri… se loro si sono accordati…». «Commisso: Si sono riuniti…». «Aversa: Sì, hanno detto che faranno cinquanta e cinquanta…».
Questo contesto di pacificazione è posto in evidenza e definitivamente sancito processualmente dalle intercettazioni che sono confluite nel processo “Mandamento Jonico”. In particolare, come sottolineato dal Collegio penale, in un altro dialogo intercettato nel marzo del 2010 a Bovalino nell’abitagione di Giuseppe Pelle “Gambazza” i giudici fanno notare che «emblematico era l’auspicio espresso da Pelle in ordine alla buona riuscita del processo di riappacificazione che si stava avviando all’epoca, nonché il riferimento al compromesso raggiunto tra le due famiglie, anche in ambito processuale».
Il conflitto tra le cosche Cordì e Cataldo, che nei decenni si era sempre più inasprito, aveva generato una crisi dalle ripercussioni indubbiamente negative sulle consorterie, la cui operatività, in termini attivi, necessitava di un riassetto degli equilibri, auspicato dai vertici della “Provincia”, «sotto la cui supervisione era stata siglata la pace, consacrata nella spartizione degli appalti nella misura del 50% per ciascuna delle due cosche».
A suffragare l’intervenuto pax mafiosa c’è anche il contenuto delle intercettazioni contenute nell’informativa “Eirene” registrate dai carabinieri sotto il “pergolato di preghiera”, dove si incontravano alcuni personaggi “attenzionati”, che commentando quanto avveniva a Locri intorno al 2013 commentavano tra l’altro: «Perché questo è il discorso. Poi che hanno fatto la pace ed hanno spartito al 50%, ma il 50%».
All’esito del dibattimento emerge la figura «di leader e di capofamiglia rivestita da Vincenzo Cordì (condannato a 30 anni di reclusione)», e la continuità dell’agire «in qualità di esponente apicale della omonima famiglia di ‘ndrangheta, emersa in via generale nell’ambito delle più volte richiamate conversazioni captate presso il c.d. pergolato di preghiera». Vincenzo Cordì è ritenuto dai giudici: «protagonista indiscusso nella fase attuativa dell’accordo spartitorio pattuito tra le due cosche, in modo speculare rispetto a quella di Francesco Cataldo (condannato in abbreviato a 20 anni di reclusione), anch’esso esponente verticistico dell’omonima famiglia. I due, infatti, erano i principali beneficiari, sotto il versante economico, della pax mafiosa, posto che i proventi delle estorsioni agli imprenditori erano suddivisi esclusivamente tra i due nella misura del 50%».
fonte gazzetta del sud
SERVIZIO DI MARIA TERESA CRINITI