Mar. Lug 16th, 2024

“Ho deciso di collaborare con la giustizia perché temo che a breve a Vibo Valentia scoppierà una guerra di ‘ndrangheta. Io voglio stare lontano da questa storia e pensare al bene di mio figlio”. Sono le parole pronunciate da Bartolomeo Arena nel primo verbale redatto lo scorso mese di ottobre con il quale ha deciso di saltare il fosso iniziando a collaborare con i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Tra le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip distrettuale nell’ambito dell’inchiesta che ha portato i carabinieri a chiudere il cerchio sulle indagini relative alla sparatoria di Piscopio ci sono anche le sue dichiarazioni. Parole che fanno tremare Vibo perché Arena sarebbe a conoscenza di numerosi retroscena e – a sentire chi lo conosce bene – dotato anche di una grande memoria in grado di mettere nei guai i “manovali” dei clan – vecchi e nuovi – ma anche imprenditori che con la ‘ndrangheta hanno fatto affari.

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Il primo verbale. “La mia famiglia è la famiglia Arena Pugliese – spiega il 43enne neo-pentito di Vibo – i cui componenti fin dal 1800 sono uomini d’onore. Successivamente mio nonno ha preso il doppio cognome Carchedi dopo che suo padre è rientrato dall’America. I miei familiari sono stati da sempre ‘ndranghetisti, Io fin dall’età di 10-11 anni ho iniziato a comprendere che la mia famiglia fosse una famiglia di ‘ndrangheta”. Arena racconta quindi che doveva diventare un “picciotto” all’età di 22 anni perché a 16 anni “era troppo scalmanato”. “Quando è arrivato il momento della mia affiliazione siccome non condividevo il fatto che i Lo Bianco-Barba erano sotto i Mancuso non volli essere affiliato”. Il suo racconto procede tra un omissis e un altro. Poi aggiunge: “Io nel frattempo sono cresciuto con Mantella ed un pò con tutti quelli del mio attuale gruppo. Dopo i 16 anni ho frequentato molto il cugino di Mantella, Giuseppe Mantella, colui che è morto in un incidente di moto, poi mi sono legato ad Antonio Grillo”.

Il battesimo. Altro omissis prima di svelare il suo “battesimo” di ‘ndrangheta: “La cerimonia avvenne nel 2012 alla presenza… omissis… Venne battezzato il locale con la tipica formula e successivamente mi venne fornita la dote di picciotto ed anche quella della camorra… Fui il primo della famiglia ad essere battezzato e successivamente portai tutti gli altri giovanotti ad essere battezzati. Dopo lo sgarro ho avuto la Santa, concessami dopo la riunione del Locale con i Lo Bianco. Dopo il distacco dei Lo Bianco di cui ha parlato, mi fu dato il Vangelo. Per quanto concerne la dote del trequartino mi fu data con il benestare di … in quanto erano amici che rispondevano a Polsi…”.

L’omicidio Battaglia. Bartolomeo Arena parla quindi dell’omicidio di Salvatore Battaglia e fornisce agli inquirenti elementi preziosi spiegando che dopo la sparatoria Domenico Pardea, detto “Ranisi”, uno degli esponenti di spicco dell’omonima famiglia di Vibo, si sarebbe recato da Michele Battaglia, lo zio di Salvatore, dal quale avrebbe appreso che a sparare sarebbe stato Antonio Felice, il figlio di Nazzareno Felice, alias “Il Capo”. “La causa di questo delitto – sottolinea Arena – è da rinvenirsi in varie discussioni presso il circolo dei Felice tra quest’ultimo ed il gruppo di Salvatore Battaglia, costituito, tra gli altri, da Giovanni Zuliani e Michele Ripepi. A dire la verità vi erano ben più risalenti dissapori – aggiunge il nuovo pentito – tra i parenti dei suddetti soggetti e, in particolare, tra Nazzareno Felice (padre di Antonio) ed il gruppo di Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo in quanto questi ultimi ritenevano che il Felice avesse collaborato con i Patania nell’esecuzione dell’agguato dal quale Rosario Fiorillo era riuscito fortuitamente a sfuggire. Sospetti che erano stati avvalorATI anche dal fatto che, la sera dell’attentato fallito, al Fiorillo, il circolo dei felice aveva chiuso prima dell’orario consueto”. Da quel momento i rapporti tra i Felice e il gruppo Battaglia-Fiorillo sarebbero stati sempre tesi e Arena ricorda cosa gli avrebbe detto sul punto Francesco Antonio Pardea: “Mi confidò che nel carcere di Frosinone Battaglia Rosario gli aveva detto che, non appena fosse uscito dal carcere, il primo da uccidere sarebbe stato proprio Felice Nazzareno”.

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