Gio. Nov 21st, 2024

Tra il 2008 e i primi mesi dell’anno in Calabria il 12 per cento delle partite Iva hanno chiuso i battenti. E per questa categoria non esistono neppure ammortizzatori sociali

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È il popolo delle partite Iva quello a maggior rischio povertà. Oltre un quarto dei nuclei familiari che si basano su un reddito da lavoro autonomo non è riuscita ad arrivare alla fatidica quarta settimana. I dati Istat elaborati dagli analisti della Cgia di Mestre denunciano come ben il 25,8% delle famiglie di questa categoria si è trovata a vivere in seria difficoltà economica vivendo al di sotto della soglia di rischio povertà. E la Calabria è stata tra le regioni più colpite. Subendo una vera e proprio emorragia di soggetti che non sono riusciti a sopravvivere decidendo di chiudere la propria attività.

I DATI Tra il 2008 e i primi sei mesi di quest’anno il numero di partite Iva ritirate in Calabria è stata pari al 12 per cento. Poco inferiore al record di chiusure registrate in Emilia Romagna dove – in questo lasso di tempo – la flessione ha registrato un valore pari al 12,7%.
E i numeri, elaborati dagli analisti della Cgia, dimostrano la “frustata” subita sul reddito di questi lavoratori. Tra il 2008 e il 2014 il reddito delle famiglie che si reggevano su questo sistema reddituale hanno subito un taglio agli introiti di oltre 6.500 euro. Un dato che, tradotto in termini percentuali, significa una contrazione del proprio reddito di oltre 15 punti (-15,4%). Mentre il reddito dei dipendenti in questo lasso di tempo è rimasto invariato (-0,3 per cento). Numeri che dimostrano quanto questa categoria abbia pagato più di altre lo scotto della crisi economica.

RISCHIO POVERTÀ Meno reddito dunque e meno capacità di spesa che ha trasformato quello che un tempo veniva considerato il ceto medio produttivo in un esercito di nuovi poveri che rischiano ancor di più del lavoratori subordinati. Se si considera, infatti, che per questa categoria – che comprende i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti ma anche i liberi professionisti e i soci di cooperative – non esiste alcun “paracadute” che li salvaguardi dal rischio di scivolare nella povertà assoluta. Infatti negli anni della crisi, il dato medio dei pensionati e di quelle famiglie che hanno potuto avvalersi dei sussidi (di disoccupazione, di invalidità e di istruzione) che sono stati erogati ai nuclei più in difficoltà sono cresciuti (+8,7%) garantendo un reddito maggiore pari a +1.941 euro.
«Perso il lavoro – fa notare il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non e’ stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero».

CATEGORIA PIU’ COLPITA Ma il quadro diviene ancor più disarmante se si considera che se fino ad alcuni anni addietro l’apertura di una partita iva era sinonimo di autonomia per grandi professionisti o imprenditori ora dentro questa categoria rientrano per lo più quanti un lavoro non lo hanno e sono stati costretti ad aprire una posizione per “nascondere” il proprio status di lavoratore a nero e subire la pressione di un datore di lavoro che gli impone l’apertura della partita Iva per evitarlo di assumerlo come dipendente. E la Calabria, in questo senso, non costituisce affatto un’eccezione alla regola. Così tra lavoro che non c’è e crisi economica a pagare maggiormente il conto della crisi, stando ai dati della Cgia, sono stati proprio le famiglie con reddito prevalente legato al lavoro autonomo. Dal 2008 al primi sei mesi dell’anno, secondo le elaborazioni degli artigiani, lo stock di lavoratori autonomi è diminuito di 297.500 unità. In termini percentuali significa un -5,5%. Mentre in questo periodo il numero di lavoratori dipendenti presenti in Italia è invece aumentata di quasi 303mila unità (+1,8).
Un dato che dimostra come il popolo delle partite Iva sia destinato a dover soffrire ancora perché maggiormente in difficoltà ad agganciare i timidi segnali di ripresa dell’economia.

(L’ALTRO CORRIERE)

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