Mer. Lug 17th, 2024

Le dichiarazioni del pentito Andrea Mantella nelle carte dell’inchiesta sugli affari dei clan vibonesi in provincia di Torino. «Un ispettore della Polizia penitenziaria ci portava i telefonini in carcere»

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’è il business della droga e quello delle slot machine. C’è l’alleanza con gli uomini di Cosa nostra e la connivenza di «professionisti e funzionari pubblici». E ci sono anche le dichiarazioni di diversi pentiti sulle dinamiche interne ai “locali” di ‘ndrangheta attivi in Nord Italia e legati a doppio filo con la Calabria. Gli affari sono ovviamente importanti, ma altrettanto importanti sono per i clan i simboli che si manifestano nelle occasioni pubbliche in cui la religiosità popolare, troppo spesso, ha rappresentato un palcoscenico privilegiato.
Tutto è confluito nell’inchiesta “Carminius”, l’ultima, in ordine di tempo, ad aver svelato gli affari dei clan in Piemonte. L’epicentro dell’indagine della Dda torinese è Carmagnola, Comune in provincia di Torino che conta quasi 30mila abitanti dove, secondo gli inquirenti, sarebbe forte l’influenza di una ‘ndrina legata al clan vibonese dei Bonavota. Il boss di Carmagnola sarebbe infatti Salvatore Arone e la sua ‘ndrina sarebbe uno dei “distaccamenti” che fanno riferimento proprio alla cosca madre di Sant’Onofrio, paese alle porte di Vibo Valentia.

SANT’ONOFRIO E CARMAGNOLA La presenza dei santonofresi a Carmagnola è nota da tempo – su un blog locale si legge che «abitano più santonofresi a Carmagnola che a Sant’Onofrio» – ma nell’inchiesta della Dda di Torino ci sono le dichiarazioni di alcuni pentiti vibonesi che confermano e forniscono ulteriori dettagli sul livello di pervasività della ‘ndrangheta di cui, senza dubbio, sono vittime anche i tanti calabresi perbene che sono emigrati da decenni in quei luoghi. Uno dei collaboratori di giustizia che ha parlato con i magistrati torinesi è Andrea Mantella, in passato organico ai Lo Bianco di Vibo e poi a capo di un suo gruppo autonomo che, in alleanza con altre cosche, tra cui proprio i Bonavota, ha sempre maldigerito lo strapotere dei Mancuso sul territorio vibonese.

I TELEFONINI PORTATI IN CARCERE DALL’ISPETTORE Mantella parla di “Turi” Arone e racconta di averlo conosciuto quando era ancora un ragazzino, spiega che era stato ferito nella vecchia faida tra i Bonavota e i Petrolo-Bartolotta e che dopo quell’episodio si era trasferito in Piemonte. Il pentito riferisce anche di essere stato detenuto nel carcere di Torino assieme, tra gli altri, a Domenico Cugliari – alias “Micu ‘i Mela”, «contabile» e numero due del clan Bonavota – e che all’epoca Arone gli avrebbe garantito, oltre all’assistenza di un avvocato, anche un contatto con un ispettore della Polizia penitenziaria in servizio nel carcere torinese. Un contatto prezioso, secondo Mantella, perché quell’ispettore sarebbe stato «nelle sue mani» (di Arone, ndr) e avrebbe portato «i telefonini» ai detenuti vicini ai Bonavota «e anche altre cose che potevano servire».

IN TRASFERTA PER L’OMICIDIO Mantella dice anche che una volta gli è stato chiesto di andare a Torino assieme a Francesco Fortuna e Francesco Scrugli per uccidere Antonino Defina, anche lui coinvolto nell’inchiesta “Carminius”, perché quest’ultimo «gli dava fastidio (ad Arone, ndr) nell’attività edilizia immobiliare». Il pentito poi non si recò a Torino «per motivi familiari» e al suo posto andò, a suo dire, il cugino, ma non se ne fece nulla perché i killer saliti dalla Calabria «furono fermati dalle forze dell’ordine». Quell’omicidio mai avvenuto sarebbe stato ordinato dai Bonavota «su espressa richiesta di Arone».

L’AFFRUNTATA IN PIEMONTE A un certo punto, per ragioni economiche ma anche per paura di essere arrestato dopo le dichiarazioni di un altro pentito vibonese (il “piscopisano” Raffaele Moscato), il numero due dei Bonavota “Micu” Cugliari avrebbe deciso di trasferirsi in Piemonte. «So che ha investito qui a Torino con suo cognato Turi Arone», spiega ancora Mantella, aggiungendo che «a Sant’Onofrio, oltre alla raccolta delle olive, non c’è nulla e dunque la ‘ndrangheta deve andare in un terreno che dia qualche frutto». Quindi il pentito parla di «un paesino» in cui «facevano l’Affruntata nel periodo di Pasqua; cioè c’era un comitato presieduto da Arone che organizzava questa festa sotto Pasqua, e dalla Calabria salivano Nicola Bonavota, Pasquale, Domenico per portare la statua».

PROCESSIONI ANNULLATE E SCAMBI CULTURALI Quella dell’Affruntata – processione pasquale che rappresenta l’incontro, preannunciato da San Giovanni, tra la Madonna e il Cristo risorto – è una tradizione molto sentita a Sant’Onofrio, dove nel 2014 le autorità decisero di “commissariare” il rito per la presunta presenza di affiliati alla ‘ndrangheta proprio tra i portantini. Un decisione che fece scalpore e destò indignazione nella comunità santonofrese che, d’accordo con il vescovo e il parroco, preferì – circostanza mai avvenuta prima – annullare del tutto la processione. Quattro anni prima la processione era stata invece rinviata di una settimana dopo che qualcuno aveva sparato alla porta di casa del priore dell’arciconfraternita che organizzava la cerimonia. Mentre ancora prima, nel 2008, la città di Carmagnola e il Comune di Sant’Onofrio avevano firmato un protocollo d’intesa con lo scopo di «collaborare scambievolmente per la realizzazione di iniziative sociali, culturali, turistiche, sportive, folkloristiche ed enogastronomiche». All’epoca una delegazione carmagnolese in trasferta nel Vibonese aveva potuto anche assistere alla tradizionale rappresentazione dell’Affruntata. Ma va detto che dopo i fatti che l’hanno resa protagonista in negativo Sant’Onofrio si è riappropriata della sua tradizione (nella foto di Salvatore Federico un momento dell’Affruntata del 2015) e le statue vengono ora portate in spalla da giovani e da volontari che non hanno nulla a che fare con la ‘ndrangheta. (s.pelaia@corrierecal.it)

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