Ven. Nov 22nd, 2024

“Papà! Papà! Giovanni mi vuole portare a Catanzaro!” (IL BOOM, 1963, di Vittorio De Sica)

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E’ la telefonata con la quale Silvia (Gianna Maria Canale), di famiglia benestante, comunica al padre la crisi economica che ha investito il marito Giovanni (A. Sordi), il quale, per un po’ di tempo, le propone di trasferirsi insieme a lui a Catanzaro. La battuta era stata forse scritta in sceneggiatura, ma siamo più propensi ad immaginare   che l’abbia proposta la stessa  Canale, nata a  Reggio Calabria, per prendere simpaticamente  in giro la città di  Catanzaro. Vero o falso non importa. Come diceva John Ford: “tra la leggenda e la verità vince sempre la leggenda”.

Il 16 dicembre,  La Primavera del Cinema Italiano, IX , Premio Federico II ha voluto rendere omaggio all’attrice, scomparsa nel 2009, a 81 anni, con una mostra fotografica dal titolo GIANNA MARIA CANALE: IL FASCINO DELLA BELLEZZA, a cura di Michele Pingitore, autore di un documentario sull’attrice di prossima uscita. Hanno partecipato Giovanni Scarfò per la Cineteca della Calabria e Donatella Buti (nipote di G.M.Canale), che  ha raccontato la zia soprattutto dopo il suo ritiro avvenuto nel 1964, colpita nella sua bellezza  da una piccola paresi facciale, a causa della  quale ha evitato qualsiasi occasione di notorietà, mantenendo immutato  il ricordo della sua bellezza.

 

Un ricordo che qualche anno fa ha elaborato un’altra sua nipote, l’ex annunciatrice RAI Alessandra Pimpinella, in arte Alessandra Canale, con una tesi di laurea sull’attrice.

“E’ nata a Reggio Calabria- scrive Alessandra – quarta figlia femmina in una famiglia che aveva già grossi problemi ad allevarne tre. Suo padre era una semplice impiegato  della Stato, pur facendo parte di una famiglia benestante, grazie alla madre che possedeva vari negozi di abbigliamento a Reggio Calabria. Ma era un padre socialista, “matteottiano” della prima ora e, per questo, mandato in esilio dai fascisti. E Gianna, a Firenze, dove ha studiato e lavorato, segue gli insegnamenti del padre aiutando molti partigiani a nascondesi.

Nel 1947 arriva seconda al concorso di Miss Italia – vinto da Lucia Bosè – e quinta Gina Lollobrigida, mentre Elisabetta Rossi Drago  e Sofia Loren sono state eliminate perché  sposata la prima  e poco fotogenica la seconda.

Ha iniziato  a fare cinema (“faccio cinema”, diceva sempre, non amava farsi chiamare attrice, ha raccontato la nipote Donatella) con Riccardo Freda, il più americano dei registi italiani, che,  rimasto folgorato dalla sua  bellezza e dal suo istinto recitativo, l’ha fatta debuttare  nel film IL CAVALIERE MISTERIOSO (1948), con Vittorio Gasmann, avendo Freda già al suo attivo  cinque  film da regista  dal 1942. Il sodalizio cinematografico e l’amore tra Freda e la Canale proseguirà per altri 12 film, dei quali uno dei  più famosi e conosciuti è TEODORA L’ IMPERATRICE DI BISANZIO (1953), dove la Canale si esibisce in una danza molto sensuale  e sfida Giustiniano, che la sposerà, nella gara delle quadrighe,  sei anni prima della gara  fra  Messala e Ben Hur nel film di William Wyler del 1959,  girata da Sergio Leone con la seconda unità, ma non accreditato.

C’erano 18 anni di differenza tra Freda e la Canale, che lo giudicava  un “uomo con una intelligenza fuori da comune”, architetto, pittore e scultore oltre che regista, il quale aveva una grande  ammirazione per la sua attrice preferita, perché era una donna con una personalità molto spiccata: “in ogni caso il più grande amore della mia vita” ha sempre dichiarato il regista; il quale non ha avuto vita facile per affermarsi, in un periodo in cui il neorealismo era il riferimento principale della critica di sinistra, molto influente nel giudicare la  cinematografia  italiana.

Infatti, dal punto di vista cinematografico, Freda è stato “Un uomo solo”, che è anche il titolo del documentario di Mimmo Calopresti realizzato per la Cineteca Nazionale e proiettato al cinema Trevi di Roma in occasione del centenario della nascita e a dieci dalla scomparsa del regista avvenuta nel 2006. Nella stessa occasione, insieme ai principali film di Freda è stato proiettato anche il documentario di Giuseppe Tornatore “Quattro chiacchiere con Riccardo Freda” ,

“ un uomo disincantato, privo di rimpianti, ma non riconciliato con il mondo del cinema, che gli ha dato soldi, macchine e belle donne, come lui stesso confessa al più giovane collega, ma dal quale non è mai stato accettato per il carattere ‘difficile’ e mai incline al compromesso. Una piccola lezione di cinema di un regista poco ascoltato e SOLO,  perché era il più rapido,SOLO perché aveva la passione dei film d’avventura e non del melodramma, dell'”arte”. SOLO, nonostante abbia tenuto a battesimo mezzo cinema italiano. Tra i suoi collaboratori si annoverano Monicelli, Steno, Fellini, Bava, De Concini… SOLO perché non si considerava un’artista, lui che ‘era il regista più pagato d’Italia e i film li faceva per soldi’. SOLO, perché era l’unico che aveva il coraggio di dire che Rossellini non capiva niente. Nel documentario lo si vede camminare solo per Roma e solo  per i corridoi vuoti della Scuola Nazionale di Cinema; si sente la voce del regista che, dando le indicazioni allo stesso Freda su come muoversi e all’operatore su come riprenderlo, costruisce e articola un’immagine di solitudine”.

 

Freda è l’unico regista che riversa nei suoi film la grande lezione spettacolare  del cinema muto partendo dal grande romanzo dell’ottocento, capace di  realizzare   i suoi film anche con pochi soldi e con sceneggiature non proprio adeguate, grazie alla sua padronanza dei mezzi tecnici e alla sua bravura nel risolvere situazioni veramente difficili sia a livello scenografico che  economico, in collaborazione con  il maestro degli effetti speciali e direttore della fotografia Mario Bava. Per esempio nel primo film horror-gotico italiano del periodo sonoro( nel periodo muto era stato realizzato IL MOSTRO DI FRANKSTEIN(1920) di Eugenio Testa che però è andato perduto)  I VAMPIRI (1957), ultimo film di Gianna Maria Canale con Freda, Mario Bava è riuscito a rappresentare la trasformazione senza stacchi  della giovane Giselle  nella vecchia Marguerite,  un effetto speciale in realtà utilizzato per la prima volta nel film IL DOTTOR JEKYLL di Rouben Mamoulian(1931). Come da copione critico, il film in Italia non è stato accolto bene; saranno i francesi a  riconoscere al film  i pregi di un genere d’autore poco frequentato in Italia. Tra l’altro nei film di Freda non ci sono mostri ricostruiti, perché “i mostri  siamo noi, dominati dalle ambizioni e dalle paure. L’orrore vero è quello radicato dentro di noi fin dalla nascita. È un terrore atavico che probabilmente risale ai primordi dell’uomo delle caverne. […] Il primo vero terrore è quindi quello del buio… dell’oscurità! […]. È questo il vero terrore, l’angoscia di ciò che non si vede, il rumore che scatena il terrore fino allora represso. In tutti i miei film vi sono porte che si aprono nel buio senza rumore, scricchiolii e fruscii raggelanti, il picchiettare di un ramo contro un vetro che sembra la mano scheletrica di un fantasma”.

 

Sono convinzioni che Freda rappresenterà ancora nei film L’ORRIBILE SEGRETO DEL DOTTOR HICHCOCK(1962) e LO  SPETTRO(1963): il primo con un titolo-omaggio al grande regista anglo-americano, già “ricordato” ne I VAMPIRI(1957), con un apparizione nel ruolo di un medico: “film controllatissimi e sapienti –scrive Goffredo Fofi – la cui forza  sta nella loro claustrofobica e ristretta scenografia, nell’impasto sontuoso e cupo dei colori, ma soprattutto, per il primo, nella precisione analitica della descrizione di una perversione concreta, la necrofilia, e, nel secondo, nella concretezza  di un gioco al massacro di quattro personaggi, dove il mistero si rivela beffa macabra, ma pienamente terrestre”

 

E  l’invecchiamento del  personaggio che cerca disperatamente di rimanere giovane, interpretato dall’attrice nell’ultimo film con Freda (I VAMPIRI), possiamo anche  immaginarlo  come la “vendetta” del regista abbandonato. E l’ossessione di voler rimanere giovane a tutti i costi da parte della “vampira” del film, potrebbe essere la stessa della Canale che, dopo l’incidente, non comparirà più in pubblico, al pari di Greta Garbo.

Dopo avere interpretato 50 film, Gianna Maria  Canale si ritira dal cinema a soli 37 anni, (a 36 Greta Garbo) anche perché insoddisfatta delle parti che le offrono (anche il film IL BOOM è stato malvisto dalla critica). Si ritira  nell’isola di Giannutri, in epoca romana dedicata a Diana, dea della caccia (anche la Canale si dedica alla caccia e alla pesca, come ci ha raccontato la nipote Donatella). Si spegne a  Sutri (Vt) il 13 febbraio 2009.

 

Ma, nello stesso periodo della Canale, altre due attrici reggine si muovono sulla ribalta cinematografica.

Ricordiamo per prima Jone Salinas, nata a Reggio Calabria l’8 marzo 1918. Frequentò   il Centro Sperimentale di Cinematografia ed esordì nel cinema con il film UN’AVVENTURA DI SALVATOR ROSA(1939) di Alessandro Blasetti,  lo stesso anno in cui si diploma al Centro. Seguono altri 20 film, tra i quali  IN NOME DELLA LEGGE(1949) di Pietro Germi, nel ruolo della baronessa. Il direttore di produzione era  Antonio Musu, che Salinas ha sposato nel 1943. Musu è stato direttore di produzione di film molto importanti, tra i quali IL CAMMINO DELLA SPERANZA(1949)  di Pietro Germi  e KAPO’(1959), di Gillo Pontecorvo; ma anche   produttore de LA BATTAGLIA D’ALGERI (1966), di Gillo Pontecorvo (Leone d’oro al festival di Venezia) per il quale vinse nel 1967 il Nastro d’Argento al   miglior produttore. Curiosamente Salinas si ritira dalla scena cinematografica lo stesso anno della Canale, con le seguenti motivazioni: “Non posso più accontentarmi di insignificanti particine senza sostanza e nessun rilievo. Se qualcuno vorrà affidarmi una parte mi cercherà. Per ora, io penso a sposarmi: il cinematografo sarà per me uno dei fini, non l’unico della mia vita”. Si spegne  a Roma il  27 maggio 1992.

 

Un altro sdegnoso rifiuto al cinema lo manifesta l’attrice Anna Vita, nata a Locri  il 1° dicembre 1926, dopo essere diventata  una diva dei fotoromanzi, a partire dall’immediato dopoguerra, insieme a Sergio Raimondi, (Torquato Feliziani, di professione meccanico). Infatti le lettrici della rivista “Tipo” hanno eletto la coppia Raimondi-Vita come  “la coppia più amata”.

 

Anna Vita debutta nel 1948 con ACCIDENTI ALLA GUERRA di Giorgio Simonelli e l’anno nel documentario di Michelangelo Antonioni L’AMOROSA MENZOGNA(1949), insieme a Raimondi, interpretando se stessi in una rappresentazione ironica dei fotoromanzi.

La carriera cinematografica li vide ancora partecipare in coppia nei film VENDETTA DI ZINGARA(1950), di Aldo Molinari e ANGELO TRA LA FOLLA(1950), di Leonardo De Mitri.

Anna Vita prese ancora parte ai  film IL SENTIERO DELL’ODIO(1950), di Sergio Grieco, girato per gli esterni in Calabria,  TOTO’ E I RE DI ROMA(1950) di Steno e Monicelli, SIGNORI, IN CARROZZA(1951) di Luigi Zampa TOTO’ A COLORI (1950) di Steno,  SOLO PER TE LUCIA(1952) di Franco Rossi e IL PECCATO DI ANNA(1952), di Camillo Mastrocinque.

 

La grande occasione è arrivata per Anna quando Fellini le propose LO SCEICCO BIANCO (1952), con Alberto Sordi e Leopoldo Trieste;  per Raimondi con ROCCO E SUOI FRATELLI (1960), di Luchino Visconti, ma entrambi rifiutarono la parte. La Vita si rifiutò -disse-  perché era un film che prendeva in giro il mondo dei fotoromanzi, un rifiuto che  suscitò  molto clamore  e tantissime interviste nei rotocalchi dell’epoca; ma la sua carriera si concluse definitivamente sia nel cinema che nei fotoromanzi. Raimondi, nonostante il rifiutò, proseguì la  carriera cinematografica fino  al 1961, per poi tornare al suo mestiere di meccanico.  Anna Vita è scomparsa il 2009 ad Anagni.

 

Giovanni Scarfò

Direttore Cineteca della Calabria

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