In Italia, a Sud, c’è una bella regione, la Calabria. Che però è infestata da una fastidiosa associazione che il codice penale chiama 416 bis: associazione a delinquere di tipo mafioso. Gli associati, gente che va per le spicce, la chiamano ‘ndrangheta. Siccome è in piena espansione nel resto del paese e la gente per bene ne farebbe volentieri a meno, lo Stato fa del suo meglio per combatterla. Lo Stato… non proprio: la ‘ndrangheta di pezzi e persone dello Stato ne ha associati parecchi; ma quelli che non ne hanno voluto sapere di associarsi o quantomeno di girarsi dall’altra parte, la com-
battono con tutte le loro forze. Tra questi c’è un magistrato, Nicola Gratteri, che questa guerra la combatte da circa 30 anni. Se ancora non l’hanno
ammazzato non è perché non ci abbiano provato. Avendola sempre scampata, nel 2016 il Csm lo nomina Procuratore della Repubblica di Catanzaro, che vale a dire capo della lotta alla ‘ndrangheta nella Calabria
(che poi significa nel territorio nazionale): non troppo presto (con le correnti padrone del sistema, mettere l’uomo giusto al posto giusto per la Giustizia italiana è sempre stato molto difficile) ma ancora non troppo tardi.
Giubilo e partecipazione della cittadinanza tutta? Sì, di quella onesta, che in Calabria non è proprio la maggioranza. Ma anche disappunto di qual-
che collega, soprattutto se geloso del suo ruolo di superiore gerarchico. Fuor di metafora, del Procuratore Generale di Catanzaro. Va detto che «superiore gerarchico» è formula che, in magistratura, non esiste: l’articolo 107 della Costituzione lo dice chiaro: «I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni». Che vuol dire che ognuno fa il suo
lavoro in perfetta autonomia: tu lotti in prima linea contro la ‘ndrangheta, io coordino la lotta di tutti i Procuratori; quindi li convoco, li faccio parlare tra loro, cerco di metterli d’accordo se del caso; e poi ognuno nel suo
ufficio.
A Otello Lupacchini, Procuratore Generale di Catanzaro, questo ruolo sembra andare un po’ stretto. Gratteri proprio non gli va giù: fa tutto
lui, non dice niente a nessuno, non mi tiene informato, chi… si crede di essere. Che può essere vero oppure no. Certo è che, se vero fosse, Lupacchini avrebbe il dovere di denunciare Gratteri al Csm per violazione dei suoi doveri di ufficio. Perché «il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per associazione mafiosa, ne dà notizia al procuratore generale presso la corte di appello», lo dice l’articolo 118 bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale. E il Csm, nel segreto delle sue chiuse stanze, deciderà se violazione c’è stata e quale sanzione tocca al reprobo o al tendenzioso denunciatore. Nel segreto. Perche i corretti rapporti tra Procuratore Generale e Procuratore della Repubblica sono cosa importante; ma le indagini in materia di ‘ndrangheta lo sono molto di più. E lo sputtanamento di uno o dell’altro o di tutti e due, un effetto perverso ce l’ha di sicuro: manda a puttane l’indagine. Insomma, per fare un esempio facile facile, è un po’ come quando un generale, senza dire niente al capo di stato maggiore, conduce un’azione vittoriosa contro il nemico. Gli si dà una medaglia e poi, convocatolo in una remota caserma, lo si cazzia per bene. Questo a Lupacchini non è chiaro. Sicché lui, al Csm,
Gratteri non lo denuncia. Però fa un micidiale casino pubblico. Il 26 gennaio 2019, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, si concentra sugli innocenti colpiti da provvedimenti di custodia cautelare e sui soldi spesi dallo Stato per i risarcimenti per in-
giusta detenzione, facendo capire che allude a decisioni della Procura e dell’ufficio del giudice per le indagini preliminari intervenute nel corso dell’anno 2017, ovvero in piena gestione Gratteri (vedi interrogazione del deputato Antonio Iannone). Per nulla preoccupato della magra figura fatta in questa occasione (il presidente della Corte d’Appello lo sbugiarda: i risarcimenti cui allude si riferiscono al periodo 2010/2015, quando Gratteri non era ancora Procuratore), Lupacchini ci riprova, 27 dicembre, Tgcom24, a pochi giorni dall’arresto di oltre 300 indagati per associazione mafiosa (tra cui, ovviamente, molti lor signori sospettati di mafia e di governo): «I nomi degli arrestati e le ragioni degli arresti li abbiamo conosciuti soltanto a seguito della pubblicazione sulla stampa che evidentemente è molto più importante della procura generale contattare e informare. Al di là di quelle che sono poi, invece, le attività della procura generale, che quindi può rispondere soltanto sulla base di ciò che normalmente accade e cioè l’evanescenza come ombra lunatica di molte operazioni della procura distrettuale di Catanzaro stessa». Sintassi oscura, significato chiaro. Gratteri ha arrestato un sacco di gente senza dirmi niente. Trattasi di indagine del tipo di quelle che lui conduce abitualmente: evanescenti come ombra lunatica. Insomma: screanzato e incompetente. Gratteri l’ho visto una volta sola, a un convegno: mi è parso molto competente ma il mio parere conta nulla.
Educato era educato; se non ha avvisato il procuratore generale prima degli arresti avrà avuto le sue ragioni; quali non si sa perché, è noto, casini pubblici non si fanno; e quindi lui all’attacco di Lupacchini non ha risposto. D’altra parte, nella querelle del 2018, le lamentele di Lupacchini riguardavano il mancato coordinamento con la procura di Castrovillari cui Gratteri non aveva trasmesso gli atti: per l’ottimo motivo che nell’indagine erano coinvolti alcuni magistrati di quella città… Sarà anche questo un caso analogo? Una cosa comunque è certa. L’obbligo di avvisare preventivamente il procuratore generale delle singole fasi di un’indagine non esiste: la legge prevede solo che si comunichi (presumibilmente all’inizio) l’esistenza di essa. E forse questo Gratteri lo ha fatto; perché Lupacchini non gli contesta la violazione del citato articolo 118 ma di non averlo avvisato prima di arrestare. Delle due l’una: il procuratore generale ignora l’esistenza di questa norma; oppure sa che non è stata violata. Forse il dispetto e l’antipatia hanno preso il sopravvento. Miserie. Non fosse che delegittimare i magistrati e il loro lavoro è stupido e pericoloso. La guerra alla mafia è una cosa seria: le ripicche da cortile lasciamole alle fazioni che giornalmente si azzuffano in Parlamento. E uno che è al centro del mirino da 30 anni non è proprio il caso che si cerchi di isolarlo e di farlo apparire un presuntuoso incompetente.
Continua....
FONTE: BRUNO TINTI (ITALIA OGGI)