Su tiscali.it un reportage sui latitanti italiani che hanno trovato rifugio negli Emirati. Tra loro c’è l’ex parlamentare calabrese. Che avrebbe avuto un ruolo anche nella vicenda della casa del cognato di Fini a Montecarlo
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Dubai, la «moderna Babilonia» che ospita i latitanti italiani. Uno, forse il più conosciuto, è calabrese: Amedeo Matacena jr, condannato in via definitiva per i suoi rapporti con la ‘ndrangheta e convitato di pietra di un processo che vede alla sbarra l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, accusato di averne favorito la latitanza. La storia di Matacena a Dubai è raccontata in un reportage firmato da Guido Ruotolo per tiscali.it. Le primule rosse italiane in “soggiorno” negli Emirati sono in tutto nove. L’elenco lo ricorda Ruotolo: «Dai trafficanti di cocaina della camorra, Gaetano Schettino e Raffaele Imperiale, ad Andrea Nocera, nei guai per una bancarotta fraudolenta. Dal cognato dell’ex leader di An Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani, accusato di riciclaggio, all’imprenditore di un nobile casato, Alberico Cetti Serbelloni, accusato di una evasione fiscale da un miliardo di euro. Dal mafioso Massimiliano Alfano all’ex parlamentare reggino Amedeo Matacena, condannato per collusioni con la ‘ndrangheta».
Sarebbe stato proprio Matacena a far scoppiare lo scandalo di Montecarlo sul quotidiano Il Giornale. «Venne da me, che allora risiedevo a Montecarlo, un giornalista di quel quotidiano che mi chiese se sapessi dove si trovava l’appartamento di Tulliani. Io gli indicai l’indirizzo», ha raccontato l’ex parlamentare a Ruotolo.
A Dubai i latitanti italiani hanno trovato il modo di sottrarsi alla giustizia. «In realtà – osserva Ruotolo –, un trattato per la collaborazione giudiziaria è stato firmato fra il nostro ministro di Giustizia, Andrea Orlando, e l’omologo emiratino nel 2015 ad Abu Dhabi, ma non è stato ancora ratificato dal nostro Parlamento e della ratifica istituzionale degli Emirati Arabi Uniti non si hanno tracce. Adesso l’impasse della doppia ratifica potrebbe essere superato grazie a una intesa tecnica raggiunta dai rispettivi ministeri di giustizia».