Mar. Ott 15th, 2024

Trent’anni di latitanza in Uruguay e un’evasione che solleva dubbi mai chiariti

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Rocco Morabito, uno dei più noti trafficanti internazionali di droga e figura di spicco della ‘ndrangheta, ha vissuto una vita di lusso in Uruguay durante i 27 anni di latitanza. Scomparso nel 1994, è stato arrestato solo nel 2017 in un hotel di Montevideo, dove viveva sotto il falso nome di Antonio Cappelletto Sousa. Nonostante le prove raccolte, Morabito ha tentato di negare la sua vera identità fino all’ultimo momento, prima di dover ammettere la realtà. La cattura di Morabito ha segnato un’importante vittoria per le forze dell’ordine uruguaiane, che hanno collaborato con Interpol e la polizia brasiliana per identificare e arrestare uno dei più pericolosi criminali al mondo.

Morabito conduceva una vita apparentemente normale a Punta del Este, lussuosa località soprannominata la “Miami dell’Uruguay”. Nel quartiere Beverly Hills, lui, sua moglie e sua figlia vivevano in una villa dal 2003, circondati da ricchezze, con documenti falsi autentici acquistati in Brasile. Nella sua camera d’albergo sono stati trovati una pistola, migliaia di dollari e un’impressionante serie di telefoni cellulari.

Tuttavia, il colpo di scena è arrivato nel 2019, quando Morabito è riuscito a evadere dal carcere centrale di Montevideo in circostanze estremamente sospette. La fuga ha sollevato numerosi interrogativi: una finestra troppo piccola per permettere il passaggio, l’assenza di registrazioni dalle telecamere di sorveglianza e l’ipotesi che il criminale abbia corrotto qualcuno all’interno del carcere per uscire dalla porta principale. La giornalista uruguaiana Viviana Ruggero, che ha indagato sulla vicenda, ha espresso forti dubbi sulla versione ufficiale fornita dalle autorità, ritenendola poco credibile.

Nonostante siano passati diversi anni dall’evasione, il caso rimane irrisolto. Nessuno è stato condannato per quella fuga, e molti credono che il potere criminale di Morabito sia stato determinante nel permettergli di eludere nuovamente la giustizia, riaccendendo le speculazioni su una possibile complicità interna al sistema carcerario.