Ven. Nov 8th, 2024

 

Il 14 maggio arriviamo a Bovalino ed è un sabato di sole. L’appuntamento con il Signor Congiusta è fuori della stazione. Appena lo vediamo arrivare, alle 10.00 in punto, pensiamo inevitabilmente che se i treni da quelle parti avessero la sua puntualità, ci sentiremmo in Svizzera. Il suo stile impeccabile, quando scende dall’auto, fa pensare invece a un gentleman inglese, discreto e presente, asciutto e attento.

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Ma non siamo né in Svizzera né in Gran Bretagna, siamo nella locride. Ci appoggiamo a Bovalino perché un luogo in cui poter incontrare e intervistare Mario Congiusta e più tardi un altro ospite – desideriamo fare due racconti diversi come diverse sono tutte le storie-  ci è stato generosamente offerto dall’artista Nino Racco. E questo sembra avere già un senso: quale luogo migliore che l’”officina” in cui Racco ha speso migliaia di ore per preparare i suoi racconti, da attore impegnato qual è. Autore negli anni ’90 di “L’amore muore”, dedicato a LollòCartisano, di “Opera aperta”in cui racconta di Rocco Gatto, di tutte le sue cantastoriate, come quella sulla tragedia di Marcinelle, tutti lavori frutto della ricerca personale che propose al gruppo di teatro nei suoi giovanili anni romani di teatro sperimentale e militante degli anni ’80. Attore eccellente, che partiva dalla Capitale con una laurea in Filosofia e gli studi con i maestri del teatro internazionale, ha voluto dirigere il suo viaggio verso il suo meridione, la sua Calabria, la sua Bovalino. Una rivoluzione, nel senso etimologico del termine.

Da gentleman qual è, Mario Congiusta non permette che gli offriamo il caffè al bar accanto prima di iniziare il nostro incontro, e anche se siamo in diversi, niente lo sposta dalla pole position alla cassa. Al bar si sono subito accorti che la sala è affollata, li avvertiamo che per quel sabato saremo i loro “vicini di casa”. E ci riempie di gioia dare un bacio al volo a Deborah Cartisano, la figlia di Lollò, che entra per caso al bar. Lasciamo lei e Mario chiacchierare brevemente, in pace, in privato, con la scusa di andare a preparare le telecamere e la sala per l’intervista. Pace, privato, devono essere due cose che alcune famiglie non conoscono più. Quando scompare un padre, quando viene ucciso un figlio, la vita non è più quella di prima.

“Gli unici condannati a fine pena mai siamo noi”, dice infatti Mario in apertura della sua intervista. Non perde il suo aplomb, e le sue parole sono per questo ancora più pesanti.  In fondo non ha usato giri di parole neanche come “biglietto da visita”: “dal 2005, anno in cui mio figlio è stato ucciso, se sommati, ho vissuto sette gradi di processo, e ho 70 anni. Per una questione di ammissibilità di prove, rischio di non vedere la fine della vicenda processuale”.

Il signor Congiusta àncora il suo racconto in maniera precisa, dettagliata, lo contestualizza subito nel territorio di Siderno, quello in cui “negli anni ’90 lo scontro tra la cosca Commisso e Costa fece centinaia di morti. Poi la classica pax mafiosa.” Sentiamo di qualcosa di molto interessante nelle parole di Mario, cioè un quadro storico d’antan per cui “Siderno non era un paese in cui si doveva pagare il pizzo, soprattutto perché i Commisso da quel momento si diedero ad altro, svilupparono un altro piano di espansione”. A queste parole ci viene in mente un’altra prospettiva ancora: chissà se il signor Congiusta sa che perfino negli Stati Uniti questo luogo divenne notorio come “the Siderno group”, forse proprio per quell’espansione voluta fuori dai confini del paesino della locride di cui parla lui, con cui, “magnanimamente”, una cosca decideva di “non applicare” la tassa con cui far pagare la loro stessa presenza. Cos’era, una Siliconvalley in cui sperimentare una nuova forma progredita di presenza criminale?

Nel racconto del Signor Congiusta, Gioiosa, da cui viene sua moglie, Siderno, dove è stato ucciso suo figlio, e Locri, sono un’ unica terra. E non solo per ovvia continuità territoriale, ma anche per la mappa di alleanze criminali che nomina, che si leggono dai giornali e dalle requisitorie dei pubblici ministeri. Nomi e fatti che, per una famiglia di commercianti che non ha nulla a che vedere con tutto questo, improvvisamente si compongono in antefatto alla loro tragedia. “Un certo Pasquale Simari sfidò apertamente la famiglia Ursino andando al funerale di Salvatore Cordì a Locri nel maggio del 2005. Tommaso Costa, allora latitante, fu chiamato a ucciderlo. Uno dei suoi fratelli, Giuseppe Costa si è pentito, e per questo sappiamo alcune cose”. Ci vede un po’ smarriti, quindi ripete con più dettagli affinché lo seguiamo: “Simari, che si era scontrato con gli Ursino, decise di fare loro uno sgarro andando al funerale, dato che a Locri i Cordì erano in rotta con i Cataldo, i quali erano alleati con i Costa-Curciarello di Siderno e gli Ursino-Panaja di Gioiosa”. La descrizione degli assetti criminali è sempre qualcosa che si pensa fuori dalla vita delle famiglie normali, che lavorano, che crescono i figli, che li fanno studiare e che li aiutano a costruire il proprio futuro. Ma il racconto di Mario, ordinato, puntuale, circostanziato, è quello di un padre che immaginiamo abbia dovuto aprire la mente, in questi undici anni, a questa geografia estranea, a studiare i passaggi, le alleanze criminali e gli scontri di questa storia allora – e a loro- sconosciuta, e che si dipanava tutt’attorno ai luoghi in cui lui, sua moglie  ei suoi figli vivevano, lavoravano, in cui i ragazzi conoscevano coetanei e magari si innamoravano e fidanzavano. La vita, insomma.

Già, i genitori si occupano dei propri figli, non hanno modo di occuparsi di quello che succede altrove. Poi, nel caso sfortunato di una malattia grave, non hanno altro a cui pensare. “Da ragazzo Gianluca si ammalò di una grave forma di leucemia. Vivemmo un Calvario con lui, gli avevano dato un mese di vita”. La diagnosi terribile, l’immediata consapevolezza che ogni tentativo di cura andava cercata fuori dalla Calabria, i trattamenti allora sperimentali di espianto e reimpianto di midollo, la chemio e la lunghissima degenza presso il sant’Orsola di Bologna – una stanza asettica in Ematologia che per due anni divenne casa dei Congiusta- anticipano senza sorprendere il sèguito del racconto di Mario, fatto della stessa volontà di resistenza, di lotta, di ricerca e di tentativi per non arrendersi agli eventi, ma con la grande differenza. Il “Calvario vissuto con lui”, con Gianluca, anticipa “il Calvario vissuto senza di lui”, quello permanente, per la sua uccisione. Lo sciopero della fame di Mario, la protesta familiare animata dal gesto di strappare le tessere elettorali in occasione di elezioni, appoggiato da centinaia di cittadini che consegnarono anche le loro tessere – scegliendo di astenersi dal diritto di voto, dato che quello alla vita non è riconosciuto – perfino l’autodenuncia per aver pensato, in un momento di cieca disperazione, di offrire una “taglia” per sfidare l’omertà. E poi l’aver scritto a più di cento parlamentari, alcuni dei quali si sono attivati in interrogazioni. Alla stessa indomita volontà di una famiglia che ha lottato contro la malattia accanto a Gianluca, il cui papà racconta “Non dimenticheremo mai la gioia immensa di quando lo riportammo finalmente a casa da Bologna”,corrispondono tutte le azioni dei Congiusta dopo che Gianluca gli fu strappato. Questo è quello che si legge dall’esterno, visibile a tutti. Ma c’è un filo rosso che per i familiari, che Gianluca lo conoscevano nel profondo e che lo hanno visto crescere, vivere, amare e lavorare, ritorna nei loro racconti. È l’altruismo di Gianluca, in ogni età, tappa e ambiente della sua vita.E, alla fine, è quello che lega lo studio forzato degli eventi, la loro ricostruzione, con cui Mario ha aperto il suo racconto, il racconto della personalità generosa del figlio che si è sempre reso responsabile dei problemi altrui, e il punto su cui è sospesa l’intera vicenda processuale dei colpevoli. “Anche la fidanzata di mio figlio, che facemmo assumere in uno degli esercizi commerciali che Gianlucaaveva avviato, era figlia di commercianti. Gli mostrò una lettera anonima ricevuta dal padre, con cui i Curciarello gli chiedevano il pizzo, e Gianluca si fece carico di fare loro sapere “mio suocero non pagherà mai””. Secondo gli atti processuali, le attività estorsive facevano parte, assieme a parecchi altri crimini, delle mire espansionistiche di Tommaso Costa, esponente del clan uscito “perdente” dalla guerra tra le cosche, collegato ai Curciarello. E per questo, nel 2007 vengono arrestati  i presunti colpevoli dell’assassinio di Gianluca. Ed ecco spiegato il conto iniziale che Mario ha fatto dei gradi di processo e della presente situazione di attesa, perché è adesso la Corte Costituzionale incaricata di decidere l’ammissibilità, quali prove, di lettere delboss che farebbero luce sulla sua responsabilità nell’omicidio. “In Italia tutti possiamo essere intercettati, come quando, dopo l’omicidio di Gianluca i nostri telefoni furono messi sotto ascolto, per non parlare poi dell’abuso delle stesse conversazioni che la stampa può fare, ma le lettere dei carcerati non possono essere usate.” Racconta, Mario, di come la famiglia si attivò subito per collaborare al massimo con le forze dell’ordine: la sorella Roberta trascrisse tutti i messaggi e l’intera rubrica telefonica di Gianluca e la consegnò insieme alla memoria scritta dal papà, che formulò cinque ipotesi, tra cui le intimidazioni alla famiglia della fidanzata. Racconta delle delusioni, della solitudine, dell’indifferenza che “è il secondo colpo, dopo lo sparo di quella notte” e ci spiega che l’intera vita di una famiglia viene spazzata via da una simile tragedia, a cominciare dall’identità: “a Siderno, per un genitore che perde il figlio non c’è altra identità se non “quello a cui hanno ucciso il figlio”. Gli amici si riducono, perfino la gente, dopo le grandi manifestazioni, non rimangono che poche persone, come alla commemorazione a Soriano di poche settimane fa..”

Solo una nipotina, arrivata da poco, che fa loro ovviamente pensare “a quanto Gianluca sarebbe stato felice di avere figli e nipotini”, e poi piccole vittorie ottenute dai cittadini solo “quando il potere legislativo fa il proprio lavoro” sono la voce positiva nel bilancio del Signor Congiusta. “È stato grazie alla Commissione Parlamentare presieduta da Francesco Forgione che è stato tolto il gratuito patrocinio, nel senso di far pagare allo stato avvocati prescelti, non d’ufficio, a coloro che sono stati già condannati. Non speravamo, ma proprio a Tommaso Costa, in virtù di questa legge votata trasversalmente dalle forze politiche, è stato impedito di scegliersi avvocati di grido e quindi dai conti esosi, da far pagare a noi, con le nostre tasse. E poi la lotta di pochi sindaci per cambiare lo statuto, come Mimmo Lucano, che oggi è conosciuto in tutto il mondo per la sua Riace, che fu il primo ad aderire perché le istituzioni locali si potessero costituire parte civile nei processi, cosa che oggi è acquisita.”

È un fiume, Mario, nel suo racconto lucido che lascia un’unica certezza, come quella espressa da sua figlia Roberta nello scritto che ci consegna, che c’è anche sul sito web della onlus, in cui, se non si è conosciuto Gianluca, si può leggere del suo carattere, della sua indole, della sua positività, dell’intraprendenza con cui ha dato nuova vita all’esperienza commerciale di famiglia e promozione alle attività giovanili della sua terra. Questa certezza è efficacemente introdotta proprio da una domanda. Roberta scrive: “Cosa c’entra con noi tutto questo?” e confessa l’errore comune che si compie nel “considerare i cattivi un emisfero a parte, illudersi che siano lontanissimi rispetto alla nostra esistenza. […] Non credo più che si uccidano tra loro. Sono capaci di uccidere anche “uno di noi”.”

E Mario, che ci racconta “all’inizio sapevo solo fare fatture e bolle d’accompagnamento”, e che poi ha orgogliosamente assecondato l’intuizione di Gianluca di trasformare l’azienda in un centro di telefonia, oggi è occupatissimo con il sito “Gianluca CongiustaOnlus” che è dedicato al figlio e a tutte le vittime innocenti. Con uno slogan che non lascia spazio a indifferenza, omertà, oblìo: “ricordati di ricordare”.

 

 

Impronte e Ombre, 13 giugno 2016.

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