Mar. Lug 16th, 2024

L’Espresso svela dettagli inediti sulla rete di complicità che nasconde da 25 anni il capo della mafia. La collaborazione degli uomini dei clan calabresi, gli interessi in Liguria e Toscana e un legame forte con la ‘ndrangheta

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“Lo Zio” Matteo Messina Denaro è un invisibile da oltre 25 anni. Ne ha 56, il capo della mafia trapanese. In pochi conoscono il suo volto. L’Espresso in edicola domenica ha incontrato un uomo che lo ha raggiunto, seguito, ha parlato con lui. Lo ha conosciuto tra il 2005 e il 2006. «Ci siamo visti – racconta agli inviati del settimanale – la prima volta al cancello di uscita del porto di Palermo. All’incontro erano presenti, oltre allo “Zio”, tre persone, due siciliani e un calabrese. Questi ultimi li conosco da diverso tempo. Ma è stato il siciliano, tre giorni prima dell’appuntamento fissato a Palermo, a contattarmi offrendomi di lavorare con lui». Inizia così per Gino (non è il suo vero nome) un viaggio verso la Sicilia con una valigia piena di contanti. Che lo porta al cospetto del capo della mafia.
Messina Denaro è un uomo che ha cambiato i propri connotati per sfuggire alla cattura: il suo viso non è quello dell’identikit mostrato dai giornalisti a Gino. Le sue parole aprono uno squarcio su un mondo di complicità molto diverso da quello ipotizzato finora dalle indagini siciliane. «Si scopre – scrive l’Espresso – una rete di fiancheggiatori e complici lontana da quella trapanese. A partire dal fatto che il boss ha spostato diversi suoi interessi economici e criminali in Toscana, che ha soggiornato di frequente nella zona di Pisa, che viaggia spesso per Lamezia Terme e che della sua rete di protezione oggi si occupano anche alcuni esponenti della ‘ndrangheta».
Sulle dichiarazioni di Gino oggi indaga la Procura antimafia di Firenze. Che è a caccia di riscontri sui contatti con i clan calabresi. Il testimone frequenta le ‘ndrine dai primi anni Duemila. «Il calabrese – dice – mi aveva avvisato di una cena che doveva fare con “lo Zio” nel ristorante vicino all’aeroporto di Pisa, ha riservato una saletta appartata, ma non si è presentato nessuno e nessuno ha chiamato per disdire. Forse qualcuno ha pensato a una trappola, a intercettazioni e così il calabrese è scomparso per diversi mesi senza farsi più vivo».
Ma chi è questo calabrese? Racconta l’Espresso che si tratta di un uomo legato alla zona jonica e ai clan di Rosarno, che da anni ha messo radici in Toscana. «Mi ha detto – spiega Gino – che Matteo Messina Denaro è stato più volte curato in una clinica d’eccellenza della zona, dove è stato sottoposto alla dialisi. In questa clinica ci sarebbe un medico disposto a collaborare con l’organizzazione dei calabresi per rilasciare anche certificati falsi».
Perché un uomo vicino alla ‘ndrangheta sappia così tanto è un mistero che si spiega con le sue frequentazioni: sarebbe in contatto con uno dei nipoti prediletti del latitante, Francesco Guttadauro. La pista porta addirittura a contatti con un magistrato siciliano in servizio a Trieste. E conduce, di nuovo, in Calabria. «“Lo Zio” ha preso un volo da Pisa per Lamezia Terme», racconta Gino. Che svela anche il nome falso usato dal boss per quel viaggio. La Calabria diventa anche una pista per i nuovi affari del “fantasma” in Liguria: «L’acquisto di un residence tramite società di riferimento dei siciliani e dei calabresi e un appalto per rifiuti speciali al quale dovrà collaborare un’azienda legata alla ‘ndrangheta».

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