Nuovi dati confermano la capacità della mutazione di aggirare alcune risposte anticorpali. Quasi tutti i vaccini testati con il ceppo sudafricano hanno mostrato una riduzione di efficacia, i cui livelli però vanno ulteriormente verificati
Anche il vaccino di AstraZeneca sembra essere meno efficace sulla variante Sudafricana. Lo dicono i primi risultati di uno studio che la casa farmaceutica sta svolgendo con l’università del Witwatersrand (Sudafrica) e l’università di Oxford, visionati in via preliminare dal Financial Times.
Lo studio
La riduzione di efficacia è stata mostrata contro la malattia lieve e moderata in giovani adulti sani: «Ma non siamo stati in grado di accertare la sua efficacia contro casi gravi della malattia e nei casi di ospedalizzazione», ha confermato al FT Tulio de Oliveira, che dirige la rete per la sorveglianza genomica in Sud Africa. Lo studio per ora è di piccole dimensioni (con 2.026 partecipanti di un’età media di 31 anni), non ancora pubblicato e quindi non sottoposto a revisione, ma lancia l’ennesimo grido d’allarme nei confronti della variante sudafricana, la 501Y.V2, che sembra la peggiore tra le tre che preoccupano (tra cui l’inglese e la brasiliana).
Efficacia ridotta anche con altri vaccini
Le case farmaceutiche stanno continuando i test sui loro vaccini, test che comprendono anche l’efficacia contro le nuove varianti. Mentre tutti i vaccini Covid-19 finora hanno mediamente «resistito» alla prova con la variante inglese, B.1.1.7, almeno tre candidati hanno mostrato difficoltà con il ceppo che ha avuto origine in Sud Africa: sono Johnson & Johnson, Novavax e Astrazeneca, ma non solo.
In particolare il tanto atteso vaccino monodose di Johnson & Johnson ha mostrato in media un’efficacia del 72% su casi moderati e gravi negli USA, mentre l’efficacia è calata al 57% in Sud Africa (in una media tra tre continenti si è arrivati al 66%).
Il vaccino anti Covid della società di biotecnologie americana Novavax è efficace all’89,3% e protegge contro la variate inglese del coronavirus, ma offre un grado di protezione molto inferiore contro quella sudafricana. La compagnia statunitense ha effettuato un test su 15 mila volontari britannici e su 4.400 volontari sudafricani. Nel primo caso, l’efficacia è risultata pari all’89%, nel secondo solo al 49%, pur salendo al 60% non contando nel campione i soggetti affetti da Hiv.
Correre ai ripari
Un altro studio non ancora pubblicato della Rockefeller University su 20 volontari che hanno ricevuto i vaccini Moderna o Pfizer-BioNTech ha scoperto che «l’attività contro le varianti SARS-CoV-2 codificanti E484K o N501Y o la combinazione K417N: E484K: N501Y era ridotta». Moderna ha fatto sapere che testerà un vaccino riformulato per affrontare la variante sudafricana e AstraZeneca ha già annunciato che sta adattando il suo candidato a questa variante «in modo che sia pronto per la consegna autunnale».
I vaccini sono invece efficaci contro la variante inglese, anche se leggermente meno. Lo stesso AstraZeneca ha chiarito in una prestampa per la rivista Lancet di aver misurato questa riduzione: da un’efficacia dell’84% contro altri lignaggi del virus, rispetto al 74,6% contro la variante inglese.
La diffusione in Italia e nel mondo
La capacità della variante sudafricana di aggirare le difese e provocare reinfezioni sarebbe dovuta in particolare a una mutazione, la E484K, che ha in comune con la variante brasiliana. Quello che desta allarme è che la variante inglese avrebbe acquisito questa specifica mutazione in alcuni casi monitorati in alcune parti della Gran Bretagna, come ha dichiarato Calum Semple, membro dello Scientific Advisory Group for Emergencies.
Il monitoraggio con il sequenziamento e lo studio di nuove formule di vaccino sono a questo punto urgenti. In Italia non sembra per ora così diffusa: i dati ufficiali (dal portale internazionale GISAID) sono fermi a due casi (il primo trovato a Malpensa in un passeggero di ritorno da un viaggio), ma i sequenziamenti a campione nel nostro Paese sono ancora pochi e si sta tentando di implementarli. Nel resto del mondo è comunque meno diffusa rispetto a quella inglese: è stata individuata in 32 Paesi contro i 75 che hanno sequenziato quella inglese.