Gio. Nov 14th, 2024

Nella sua prima vita Giovanni Filocamo faceva il fisico al Consiglio Nazionale delle Ricerche, scriveva libri sulla matematica e discuteva di scienza in tv. «Quando mi sono risvegliato alla mia seconda vita, invece, la gente mi parlava e io non capivo niente: erano suoni senza senso. Ci ho messo 5 giorni — racconta — per decifrare la prima frase e riuscire a dire “no”. Il Giovanni di prima è morto così, ma quello di adesso è migliore. A volte penso quasi che mi si sia successo perché diventassi la nuova versione di me». In mezzo tra l’una e l’altra c’è un tumore al cervello diagnosticato (in ritardo) nel 2012 e due operazioni delicatissime per rimuoverlo.

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Le operazioni al cervello

«Era grande come un pugno. Dalla prima, nel 2012, sono uscito come se niente fosse. Ma è ricresciuto ed è diventato ancora più grande». L’ultimo intervento, nel 2015, lo ha lasciato con le capacità motorie intatte, ma incapace di comprendere e formulare il linguaggio. «Credevo di parlare e di farlo alla perfezione — spiega —. Invece uscivano parole sbagliate e frasi sconclusionate. Scrivere e leggere era impossibile e la matematica era andata. I primi mesi sono stati durissimi: cercavo le parole e non le trovavo». Filocamo, un bell’uomo di quasi 40 anni (li compie il 7 agosto) è arrivato a Milano in moto da Genova, la sua città: ha appuntamento per una serata di tango, la sua passione da sempre insieme alla scienza. È vestito sportivo e si muove disinvolto. Quando parla, però, compaiono delle parole sfasate e a tratti è come se i periodi si approssimassero ai significati senza afferrarli. È un attimo, poi si riprende.

Il linguaggio perduto

I medici che gli hanno asportato la massa malata poco sopra la tempia sinistra hanno dovuto intaccare la materia grigia. «Il cervello funziona così: da una parte sai le cose, dall’altra sai come esprimerle. Tra i due poli c’è un flusso continuo. A me hanno tagliato quel canale», dice e fa di nuovo capolino il divulgatore scientifico. «Dopo l’operazione ci sono stati momenti in cui avrei voluto morire — racconta—: pensavo a quello che sapevo fare prima e al futuro che mi aspettava se non fossi migliorato e mi disperavo». Invece di perdersi d’animo, Filocamo si è messo a lavorare: «Terapia con la logopedista tre volte a settimana. Per ore ho scandito con lei: “a” e poi “b” e poi “c”. Ascoltavo un film e lo ripetevo tra me. Mi aggrappavo al tango, che mi ha salvato».

Le «nuove» emozioni
Filocamo mentre balla il tango
Filocamo mentre balla il tango

La riabilitazione doveva durare sei mesi: «I medici mi hanno detto dopo che di solito quello è il periodo del massimo recupero e che poi si smette di migliorare — chiarisce —. Io però dopo sei mesi ero messo malissimo, se fossi rimasto così sarebbe stato terribile». Invece ha continuato a fare progressi, la logopedista ha deciso di seguirlo ancora, e tuttora prosegue con gli esercizi. «Devo ringraziare anche mia madre Anna e mio padre Vincenzo: mi hanno accompagnato costantemente». Intanto il suo cervello si è riorganizzato per supplire alla parte mancante. E nel farlo è cambiato: «Non riesco più a mangiare carne e pesce. Prima non piangevo mai, ora piango una volta al giorno: è come se avessi un contatto nuovo con le emozioni — racconta —. Mi dicono tutti che sono più simpatico. Prima anche nel tango cercavo la perfezione, sceglievo la ballerina più bella, la più brava. Ora preferisco quella che sa creare un rapporto con me: sono diventato più empatico».

La tesi di dottorato
Alla tesi con i genitori Vincenzo ed Anna
Alla tesi con i genitori Vincenzo ed Anna

A marzo la sua soddisfazione più grande: ha discusso la tesi di dottorato («il libro dell’università» la chiama, mentre per un attimo le parole gli scivolano ancora). «Ho parlato per 90 minuti e non mi sono ricordato solo due parole. Alla prima stavo per mettermi a piangere e invece sono andato avanti», dice con orgoglio. È tornato anche a insegnare matematica ai ragazzi. Adesso il suo sogno è riprendere a scrivere, iniziando dalla sua storia: «Il primo giorno ho scritto solo una riga e mezzo, grazie a mia mamma. Ora arrivo a una pagina e mezza». Si allena con i versi: «Per i miei 40 anni sto provando a comporre una rima. Piano piano, ma ci provo». Per riprendersi la vita una parola alla volta.

FONTE: Corriere della Sera