Un lavoro in via di pubblicazione mostra che il carico virale si è enormemente indebolito nei pazienti di maggio rispetto a quelli ricoverati nell’ospedale milanese a marzo
Sars-CoV-2 continua a circolare, ma possiamo a ragione sostenere che qualcosa è cambiato nella diffusione dell’epidemia, come sostenuto dal professor Zangrillo, che ha parlato, domenica 31 maggio, di un virus che «clinicamente non esiste più»? Secondo uno studio condotto all’Ospedale San Raffaele di Milano, in via di pubblicazione su una rivista scientifica, tra marzo e maggio la quantità di virus presente nei soggetti positivi si è ridotta notevolmente. «Abbiamo analizzato 200 nostri pazienti — sottolinea Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele e professore all’Università Vita-Salute, oltre che curatore del lavoro —, paragonando il carico virale presente nei campioni prelevati con il tampone. Ebbene i risultati sono straordinari: la capacità replicativa del virus a maggio è enormemente indebolita rispetto a quella che abbiamo avuto a marzo. E questo riguarda pazienti di tutte le età, inclusi gli over 65».
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Una malattia diversa
Un cambiamento nel carico virale non significa necessariamente che il patogeno abbia subito una mutazione, cosa di cui al momento non abbiamo prova. «Possiamo dire, in base ai risultati dell’indagine e a quello che vediamo in ospedale, che è cambiata la manifestazione clinica — precisa Clementi —, forse anche grazie alle condizioni ambientali più favorevoli. Ora assistiamo a una malattia diversa da quella che vedevamo nei pazienti a marzo-aprile. Lo scarto è abissale ed è un dato che riteniamo importantissimo. Confermato peraltro dalla pratica: non solo non abbiamo più nuovi ricoveri per Covid in terapia intensiva, ma nemmeno in semi-intensiva. Nelle ultime settimane sono arrivati pochi pazienti e tutti con sintomi lievi». Come si fa a stabilire la quantità di virus presente in un soggetto? «È possibile farlo grazie a diverse tecniche quantitative, che ho sviluppato in passato anche per l’Aids. Si tratta di sistemi messi a punto in virologia che consentono di misurare gli acidi nucleici, in questo caso l’Rna di Sars-CoV-2, ovvero le copie del virus rilevabili nel rino-faringe del paziente. Rispetto alle indagini sull’Aids, il campione biologico ottenuto da tampone può essere meno preciso rispetto al campione di sangue (perché c’è il rischio di errore umano), ma nel nostro studio di tamponi ne abbiamo analizzati 200 e il risultato è stato univoco: uno scarto estremamente rilevante tra il carico virale dei pazienti ricoverati a marzo e quelli di maggio. In gergo tecnico, parliamo di una differenza di significatività a quattro zeri. Visibile anche a colpo d’occhio: i primi campioni esaminati sono tutti raggruppati nella parte più alta del grafico, mentre quelli recenti occupano la parte bassa».
Co-adattamento all’ospite?
Quali sono le cause di questo «indebolimento» del virus? «Possiamo affermare che Sars-CoV-2 oggi replica meno, ma non abbiamo certezza sulle origini del fenomeno. Un’ipotesi è che si tratti di un co-adattamento all’ospite, come avviene normalmente quando un virus arriva all’uomo. L’interesse del microrganismo è sopravvivere all’interno del corpo e diffondersi ad altri soggetti: obiettivi irraggiungibili se il malato muore a causa dell’infezione». Cosa potremmo aspettarci per il prossimo autunno? «Nessuno può sapere con certezza se ci sarà una nuova ondata di contagi, la temevamo anche per la Sars ma non si è verificata e, anzi, il virus è scomparso — precisa Massimo Clementi —. Per quanto riguarda Sars-CoV-2, ci potranno essere dei focolai locali e sarà determinante il modo in cui sapremo reagire, isolandoli, individuando i contatti e affidando i pazienti alla medicina di territorio per lasciare gli ospedali solo a eventuali casi gravi». Un assist al lavoro del San Raffaele è arrivato da Guido Silvestri, virologo e docente alla Emory University di Atlanta (Usa), che ha parlato di «dati di laboratorio molto solidi».