Mar. Lug 16th, 2024

Alcuni collaboratori evidenziano i tanti errori del sistema di protezione. Gli appartamenti sono sempre uguali («Venivano a bussare i narcos che avevano un debito con il vecchio inquilino») e i documenti senza corrispondenza («È facile risalire chi sei»). L’unica soluzione è quella di «ragionare con la loro testa»

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«Ho capito che la migliore protezione è quella che ti fai da solo. Provo a ragionare con la loro testa e cerco di prevenirli». Sono le parole di Luigi Bonanno, nome di copertura utilizzato quando era collaboratore di giustizia che racconta, in un approfondimento su Corriere.it, quanto sia difficile, e soprattutto pericoloso, scegliere di schierarsi dalla parte della giustizia. E l’omicidio di Marcello Bruzzese, a Pesaro nel giorno di Natale, ha reso noto all’opinione pubblica le tante falle del sistema di protezione dei collaboratori di giustizia. In quel caso venne posta l’attenzione sul nome che compariva sul citofono ma non fu quello l’unico errore. Come viene raccontato dal quotidiano, l’appartamento in cui viveva Bruzzese è stato spesso utilizzato negli anni dal Nucleo Operativo di Protezione come rifugio per collaboratori di giustizia. Sempre lo stesso.Ma così come a Pesaro, succede anche ad Aosta. «Ci diedero una casa in piazza Chanoux. Prima di noi c’era stato un collaboratore che durante il periodo di copertura aveva messo su un traffico di stupefacenti. Ricordo che alla nostra porta bussavano i narcos, che evidentemente non aveva pagato, chiedendoci di saldare il conto». A parlare è la moglie di un pentito che racconta come anche lo stipendio (a cui hanno diritto i collaboratori di giustizia, ndr) fino a qualche anno fa le veniva consegnato a mano. «Ogni mese vedevi questi agenti con la valigetta e la pistola nella fondina che entravano in casa. Davano nell’occhio e tutto il quartiere se ne accorgeva – dice. – Ora si usano le prepagate».
Paradossale e anche un’altra testimonianza. Maria, pentita di ‘ndrangheta, viene trasferita da Rossano in Toscana, dove il proprietario dell’appartamento era del suo stesso paese.
«Se vai nella provincia di Campobasso trovi mezza Crotone» racconta un altro collaboratore calabrese. «I miei vicini di casa erano Lea Garofalo (testimone di giustizia, ndr), Felice Ferrazzo (capo della ‘ndrina Ferrazzo, ndr), altri con cui ero stato in carcere e, addirittura, rivali della mia famiglia. Per non considerare che quando sono stato trasferito a Termoli mi sono trovato i messaggeri della mia famiglia sotto casa: volevano che non facessi alcuni nomi».
Infine la questione dei documenti che vengono rilasciati senza una corrispondenza anagrafica. Significa che se qualcuno ti controlla non troverà niente di aderente alla tua attuale situazione – spiega Bonanno -. Quando sono andato a iscrivere mio figlio alla scuola calcio mi hanno chiesto il certificato di nascita. Ma al Comune dove risiedevo sotto copertura non risultavo né sposato né con figli. È chiaro che poi gli impiegati comunali fanno una ricerca e scoprono chi sei realmente».

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