di Paolo Casalini
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Graffiante e senza peli sulla lingua. Così il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, nel dibattito a due voci con Rosy Bindi presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, nella sede vescovile di Arezzo. Moderatore Stefano Mendicino.
Hanno commemorato Giovanni Falcone, a 25 anni dalla sua scomparsa. Hanno ricordato la sequenza dell’orrore: Chinnici, La Torre, Mattarella ed infine Borsellino. Hanno fatto rivivere la stagione stragista di via dei Georgofili, del Velabro e di Milano.
Gratteri ha ricordato Falcone, tratteggiando con precisione l’ambiente in cui il giudice assassinato si muoveva. Ha ricordato che i primi a farlo affondare, i primi a lasciarlo solo, prima dei politici, prima delle istituzioni, sono stati gli altri magistrati. Falcone ha sofferto le loro invidie e le loro maldicenze. Ha sofferto infine il rapporto con il CSM e con la commissione Antimafia.
Ha concluso il suo intervento con un messaggio di speranza, quello che viene dai tanti giovani che a Palermo ancora onorano la sua memoria, pur essendo nati dopo la sua morte, ma anche con una brutale osservazione: i gattopardi che lo hanno fatto affondare sono gli stessi che oggi salgono sui palchi per commemorarlo!
Sulla morte di Borsellino una tagliente domanda della presidente della Commissione Parlamentare Antimafia: “Ancora mi chiedo, a 25 anni dalla sua morte, perché la Procura di Caltanisetta, dopo che il giudice aveva dichiarato di aver cose da raccontare ai colleghi, ha atteso 57 giorni per convocarlo e soprattutto perchè al 56esimo sia saltato in aria”.
Domande pesanti, a cui forse neppure la storia potrà dare una risposta. Intanto il CSM ha desecretato il fascicolo sul magistrato Falcone: un passo avanti notevole verso la conoscenza storica, ha dichiarato Gratteri.
Il lavoro di Falcone è stato un successo tale che solo a distanza di anni possiamo valutarne la portata – ha stigmatizzato la Bindi -. Di fatto Cosa Nostra è stata decapitata, sconfitta, annientata. Questo è uno dei grandi meriti degli uomini che hanno dato la vita per questo risultato.
Contemporaneamente – ha spiegato il magistrato – mentre Cosa Nostra perdeva molti dei suoi tentacoli, avanzava in silenzio e senza clamori la ‘Ndrangheta. Non cercava confronti con la politica nazionale, si limitava ad infiltrarsi in quella locale. Controllava elezioni, consigli comunali, sindaci. Tutt’oggi è in grado di spostare qualcosa come il 15% della forza elettorale, decidendo così chi vincerà e chi no. Non si fa mai problema di posizione politica: destra, centro o sinistra non ha alcuna rilevanza. Rileva solo che non sbaglia mai cavallo.
E questa ‘Ndrangheta, ha spiegato Gratteri, si è molto allargata. Al Centro, al Nord e poi sempre più lontano, fuori dai confini del paese. Dove non esistono reati specifici contro l’associazione mafiosa, dove non si confiscano i beni delle cosche come ad Anghiari, dove le forze di polizia non sanno neppure come fare per fronteggiare il fenomeno ed è quindi molto più semplice negarne l’esistenza. Non è vero che all’estero ci sia meno corruzione, è vero invece che all’estero si preferisce far finta che non ci sia. Parole sferzanti, sostenute dal racconto fatto dallo stesso magistrato, di quando è andato oltralpe a spiegare i rischi delle infiltrazioni e si è sentito prima deridere e poi prendere a pesci in faccia.
La declinazione di questa vicenda tuttavia, avrebbe avuto bisogno di un contradditorio qualificato almeno nella sua visione istituzionale: la differenza fondamentale secondo Gratteri, sta infatti nella rappresentazione del pubblico ministero, che in Italia (e quasi solo in Italia) è anche un magistrato ed è sottoposto all’obbligatorietà della azione penale. E’ un richiamo diretto alla iniziativa delle Camere Penali Nazionali che hanno promosso la raccolta firme per la legge popolare sulla separazione delle carriere. Secondo il magistrato calabrese, un errore madornale, che finirebbe per porre i PM sotto il controllo dell’esecutivo, sostenuto in questa tesi in pieno anche dalla Bindi.
Ironia della sorte e della storia, perché contrario certamente a Gratteri e alla Bindi invece sarebbe stato proprio Giovanni Falcone che testualmente scrisse:
“Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para- giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti.
Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo. E’ veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm con questioni istituzionali totalmente distinte”.
Forse una vocina in grado di confutare le sue tesi durante la stessa serata, non ci sarebbe stata male. Ma pazienza, nei prossimi giorni cercheremo di approfondire.
Sempre sulle camere penali, che hanno indetto uno sciopero a oltranza per opporsi alla riforma proposta dalla commissione Gratteri (era presidente), il Procuratore ha difeso la sua creatura, spiegando che il concetto di fondo della riforma è quello di cercare di rendere più snello il processo informatizzandolo. Non serve allungare o interrompere i tempi della prescrizione, serve invece mettere i tribunali nella condizione di accelerare, restando così nei limiti stabiliti dalla legge per il giudizio. Facendo prima di tutto in modo che i fascicoli non poltriscano per 4 o 5 anni negli armadi delle procure.
Una giustizia – dice Gratteri – non più fondata sui difetti di notifica, che favoriscono imputati che possono permettersi avvocati scaltri e ben pagati, ma sui processi fatti in aula e le Camere Penali, invece che andare in battaglia contro i mulini a vento, dovrebbero finalmente pretendere una riforma del CSM, per liberarlo dalle correnti.
Il dibattito sarà trasmesso da TSD nei prossimi giorni e sarebbe molto interessante avere un parere opposto, per stabilire una sorta di contradditorio virtuale.