Mar. Nov 19th, 2024

Paolo Rossini, direttore Neuroscienze e dell’Irccs San Raffaele di Roma, passa in rassegna alcune molecole

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Oggi è la Giornata mondiale dell’Alzheimer, la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante, non c’è ancora una terapia ma diverse molecole hanno cercato una ribalta negli ultimi anni. Aprendo qualche speranza per i pazienti e i familiari. A fare il punto è Paolo M. Rossini, direttore Dipartimento Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma. “Avevamo chiuso il 2022 con un po’ di amaro in bocca per malati, famiglie e addetti ai lavori legato al fatto che il primo farmaco che aveva dimostrato una qualche efficacia nel modificare l’andamento naturale della malattia approvato negli Usa (Aducanumab*) non era stato poi approvato in Europa (e quindi in nessuno dei Paesi Eu) a causa di una serie di motivazioni peraltro per lo più condivisibili – osserva – come la scarsa efficacia clinica, gli effetti collaterali relativamente frequenti e talvolta allarmanti, gli elevati costi diretti e indiretti (inclusi quelli organizzativi per l’erogazione ospedaliera ed il monitoraggio degli effetti collaterali)”.

Il 2023 “si è aperto con l’approvazione da parte dell’Fda di un altro anticorpo monoclonale contro la beta-amiloide (come Aducanumab) il cui percorso approvativo è ora all’attenzione delle autorità dell’Ente europeo per il farmaco. La molecola si chiama Lecanumab*; in questo caso l’efficacia sembra maggiore, gli effetti indesiderati molto minori, mentre permangono irrisolti i problemi relativi ad i costi diretti ed indiretti”, prosegue Rossini.

“Come era prevedibile, aperta la porta da Aducanumab, si sarebbe assistito ad un progressivo ingresso di nuove molecole che sono in grado di rallentare l’evoluzione della malattia. Ci sono infatti diversi farmaci in attesa di terminare la loro Fase III che – se corroborata da risultati positivi- permette poi la richiesta di immissione sul mercato; alcuni di questi sono somministrabili sottocute (come l’insulina per il diabete) e non richiederebbero quindi una onerosa e costosa fase di distribuzione ospedaliera quale quella richiesta per effettuare una flebo. Tra questi mi pare utile segnalare quello con il Valitramilprosato* – sottolinea Rossini – perché sarebbe la prima formulazione assumibile per bocca, perché agirebbe non solo su beta-amiloide, ma anche su tau (un altro ‘killer’ alla base della formazione dei grovigli neurofibrillari all’interno dei neuroni attaccati dai processi neurodegenerativi), avrebbe pochissimi effetti collaterali e di scarso rilievo e sembrerebbe in grado di bloccare l’evoluzione della malattia. L’uso di tanti condizionali è d’obbligo- precisa – poiché tutte le informazioni sin qui disponibili arrivano dall’azienda produttrice e necessitano quindi di una valutazione approfondita da parte di un comitato neutrale non appena la medesima azienda dovrà aprire i propri archivi per mostrare i dati originali al fine di iniziare un percorso approvativo”.

Ed intanto ora cosa si fa? “Ci sono i soliti farmaci ‘sintomatici’ con tutti i limiti ben noti – risponde il neurologo – c’è l’attenzione sullo stile-di-vita (sempre più solidi sono le evidenze scientifiche a supporto del fatto che fare ginnastica tutti i giorni e dedicare tempo ad attività cognitive aumenta la resistenza dei neuroni e dei circuiti nervosi superstiti) e sui fattori di rischio da ridurre o eliminare del tutto (obesità, fumo, eccesso di alcool, controllo diabete, controllo pressione, controllo cardiopatie)

“Infine, stanno emergendo ipotesi di trattamento che attualmente dobbiamo ancora considerare sperimentali in cui si utilizzano vari tipi di energie (campi magnetici pulsanti, correnti elettriche di bassa intensità, ultrasuoni focalizzati, onde d’urto) in grado di attivare in modo selettivo (le sonde di stimolazione vengono guidate dalle immagini del cervello di quel determinato paziente tramite tecniche di neuronavigazione) facendo impattare l’energia in uso sulle ‘centraline’ cerebrali particolarmente importanti per la memoria, l’orientamento, il linguaggio, il tono dell’umore etc. Sembra che sedute quotidiane della durata di alcune decine di minuti, ripetute dal lunedi al venerdi per 3 o 4 settimane consecutive siano in grado di mantenere o addirittura di migliorare le funzioni connesse ai circuiti stimolati per i 6-12 mesi successivi”, conclude.