Due le assoluzioni da ribaltare in condanna e 14 pene da confermare sono stati chiesti dal magistrato della Dda, Domenico Guarascio, in veste di procuratore generale ai giudici della Corte di appello di Catanzaro per i sedici imputati, tra professionisti, avvocati, commercialisti, sodali e affiliati alla ‘ndrangheta dei Grande Aracri di Cutro e un politico, coinvolti nell’inchiesta della Dda di Catanzaro, nome in codice Farmabusiness che ha fatto tremare i palazzi del potere, svelando gli intrecci più sordidi tra mafia e imprenditoria sull’affare dei farmaci. Un’inchiesta che ha retto in primo grado quando il 18 febbraio dell’anno scorso il gup Barbara Saccà ha sentenziato quattordici condanne e sei assoluzioni per i venti imputati accusati a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, detenzione illegale di armi, trasferimento fraudolento di valori, tentata estorsione, ricettazione, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e intestazioni fittizia di beni (LEGGI QUI).
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La Dda chiede di ribaltare il verdetto di primo grado per Tallini
Il magistrato ha invocato per l’allora assessore Domenico Tallini in luogo dell’assoluzione con formula ampia, “perché il fatto non sussiste” sentenziata in primo grado, la condanna a 7 anni e 8 mesi di reclusione. Secondo il pm il giudice di prime cure non ha proprio letto le dichiarazioni riportate nel verbale dell’interrogatorio di garanzia dell’ex assessore, fornendone la prova. Il gup nelle motivazioni della sentenza dichiara: “ il motivo per cui l’imputato manteneva i rapporti con Domenico Scozzafava, del quale non appare dimostrato che Tallini ne conoscesse l’appartenenza mafiosa, erano legate anche al suo tornaconto politico, per le sue ampie conoscenze dovute al lavoro di antennista svolto su tutta la Regione e per le conoscenze politiche importanti che vantava. Tanto per fare un esempio, si consideri che fu lo Scozzafava a mettere in contatto Tallini con la senatrice Mancuso”.
Le distonie tra le conclusioni del gup e le dichiarazioni di Tallini
Ma l’interrogatorio di garanzia dice ben altro: “Vede, dottore, io faccio il politico e nell’approccio con gli elettori uno che fa politica deve stare attento, perché ci sono alcuni elettori che vogliono dimostrarti non solo di avere potenzialmente voti per cui ti vogliono quasi quasi far capire che è tuo interesse coltivare quel rapporto e se poco poco tu sminuisci diciamo quel che gli elettori tipo Scozzafava ti fanno capire praticamente scatta la reazione opposta, nel senso che praticamente questi poi te li ritrovi conto. A me non interessava in maniera particolare come elettore, aggiunge Tallini, ma in quella fase feci finta, così, di non dare molto peso a tutte le cose che diceva, per il problema elettorale io non avevo bisogno dei suoi consensi e non diedi diciamo molto peso a quello che lui cercava di farmi capire. Poi avevo già conosciuto in una esperienza precedente molto tempo prima la senatrice Mancuso per motivi elettorali. Pensi che io sono in politica da quando avevo 16 anni, certamente solo nel 1981 per la prima volta entrai in una assemblea elettiva al Consiglio Comunale, pertanto ritenni di aderire a quella proposta di incontrarli e ci incontrammo..”. Secondo la verità espressa da Tallini, lui non ha mai considerato Scozzafava una risorsa dal punto di vista elettorale e la senatrice Mancuso, l’allora assessore, già la conosceva. “Basterebbero questi rapidi accenni per verificare, razionalmente, come il convincimento del giudice- sostiene la Dda- si sia formato arbitrariamente, anche sulla base tecnica del copia e incolla dei provvedimenti di impugnazione cautelare”. E per il pm sono variegati i dati, letti in maniera diversa dal gup rispetto alla verità offerta dall’imputato nel proprio interrogatorio di garanzia così come il giudice di primo grado, secondo la Dda, non ha tenuto conto delle dichiarazioni accusatorie di Giovanni Abramo (LEGGI) se non in modo sbrigativo, definendole contraddittorie in alcuni punti (LEGGI).
La Dda vuole la condanna di Aprile
Il magistrato ha chiesto anche per Tommaso Aprile, 51enne, di Catanzaro assolto dal gup nell’ambito dell’inchiesta Farmabusiness, dall’accusa di violenza o minaccia a pubblico ufficiale la condanna a 4 anni di reclusione. Per la Dda Salvatore Grande Aracri e l’antennista Domenico Scozzafava come mandanti, Pancrazio Opipari e Aprile come esecutori avrebbero costretto due funzionarie Asp a rilasciare parere positivo all’idoneità dei locali del Consorzio Farmaitalia dopo che per due volte l’autorizzazione per l’avvio della attività era stata negata. Opipari e Aprile avrebbero fermato le due funzionarie proprio davanti alla sede dell’Asp. E l’invito a prendere un caffè da parte di questo ultimo, a differenza di quanto sostenuto dal gup equivaleva ad un atto intimidatorio, e non ad un esaltare il clima “amichevole” e disteso, creato grazie all’intervento del responsabile Asp”. Opipari e Aprile ricorda la Dda sono legati a clan dei Gaglianesi e va da sé che si sia “trattata di una vera e propria intimidazione. Affermare che ci fosse un interesse del gruppo dei Gaglianesi al buon esito del controllo, esplicitato proprio dalla presenza di due uomini di quel gruppo, sul posto, significa renderne “visibile” la presenza. Il segno di prendere un caffè non necessita di minacce esplicite, proprio in considerazione del condizionamento ambientale imposto dal contesto criminale (LEGGI).
Le condanne da confermare per 14 imputati
Il sostituto procuratore generale ha chiesto alla Corte di appello di lasciare inalterato il verdetto pronunciato dal giudice di primo cure nei confronti di 14 imputati. In particolare ha invocato per Santo Castagnino, 10 anni e otto mesi; Giuseppe Giampà, 10 anni e 8 mesi; Paolo De Sole 8 anni e 4 mesi; Donato Gallelli, alias Calimero 4 anni più 5mila euro di multa; Domenico Grande Aracri, 2 anni e 8 mesi; Elisabetta Grande Aracri, figlia del boss Nicolino, 10 anni e 8 mesi di reclusione; Salvatore Grande Aracri, (37enne), 10 anni e 8 mesi di reclusione; Salvatore Grande Aracri, (44 anni), 11 anni e 4 mesi; Giuseppina Mauro, detta Maria,14 anni di reclusione; Pancrazio Opipari, 8 anni e 6 mesi di reclusione; Salvatore Francesco Romano, 11 anni e 4 mesi di reclusione; Maurizio Sabato, 2 anni e 8 mesi; Domenico Scozzafava, 16 anni e 5mila euro di multa e Leonardo Villirillo, 10 anni e 8 mesi di reclusione. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 22 marzo giorno dell’inizio delle arringhe difensive dei legali nel cui collegio compaiono tra gli altri, Salvatore Staiano, Vincenzo Cicino, Enzo De Caro, Gregorio Viscomi, Enzo Ioppoli, Salvatore Perri, Nicola Tavano, Antonio Ludovico, Davide De Caro, Gianni Russano, Michele De Cillis, Mario Nigro, Sergio Rotundo, Salvino Mondello, Valerio Vianello Accorretti, Carmine Curatolo, Luca Matarese, Filippo Giunchedi.
Parti civili
Tre le parti civili costituite: il comune di Catanzaro, la Presidenza del consiglio dei ministri e il Ministero dell’interno.
L’inchiesta e le iniziative imprenditoriali dei Grande Aracri
L’inchiesta, che il 19 novembre del 2020 ha portato a diciannove misure cautelari, è nata in seguito alle attività investigative dei carabinieri di Catanzaro e Crotone, delegati alle indagini dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e i due sostituti Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, sotto la supervisione del procuratore capo della Dda Nicola Gratteri. Al centro delle indagini, la cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri di Cutro, in particolare le loro iniziative imprenditoriali e il reimpiego dei capitali illeciti, attraverso la costituzione di una società con base a Catanzaro, finalizzata alla distribuzione all’ingrosso di prodotti medicinali, mediante una rete di punti vendita, costituiti da farmacie e parafarmacie.
CALABRIA 7