di Franco Blefari
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Titola e sottotitola così il mio giornale In Aspromonte nell’ultimo numero a firma di un bovalinese doc di cui non voglio fare il nome., al quale non vanno a genio i successi dei poeti dialettali che, nelle piazze calabresi dove si esibiscono, raccolgono unanimi e meritati consensi.Io mi vergognerei di sparare sulla lingua dialettale calabrese, che, da sempre, è stata retaggio di una sottocultura in cui si riconoscevano i nostri padri che avevano inventato il nostro idioma. E’ per il dialetto che sopravvive ancora la nostra storia contadina,. le nostre tradizioni e la memoria di un popolo illetterato che non era cattivo come certi letterati di oggi che, non conoscendo la propria genesi, non avendola vissuta, vorrebbero tagliare le radici alla nostra gente di Calabria,.essendo il nostro vernacolo la carta d’identità che sancisce chi siamo e da dove veniamo.L’autore dell’articolo auspica la traduzione della poesia in dialetto, forse, con la segreta speranza di vedere scomparire i poeti dialettali che gli rubano la scena. E ce l’ha , forse, anche con le commedie dialettali ,che si rappresentano nel suo borgo e non sono tradotte come non sono tradotte le canzoni napoletane e siciliane ( pensate voi se si fossero tradotte le canzoni napoletane se avremmo ancora questo immenso patrimonio di cultura popolare! ) che quest’anno hanno richiamato tanta gente assetata di cose semplici e vere della vita e di notti stellate. Come la poesia dialettale, per esempio, che non può essere giudicata da chi non la conosce. O non ha il cuore, a cui è indirizzata, per poterla capire.