Mar. Lug 16th, 2024

di Vincenzo Speziali 

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Mario Casalinuovo, è stato uno dei leaders del Partito Socialista, non solo nella nostra terra, ma in Italia. Per la verità è uno dei padri del regionalismo calabrese -difatti fu il primo Presidente del Consiglio Regionale- e poi deputato -anche in questo detiene il primato, ovvero il primo socialista catanzarese, eletto, nel secondo dopoguerra- cioè dal 1979 al 1987. Durante la legislatura di ‘debutto’ alla Camera, fu Sottosegretario ai Lavori Pubblici nei due Governi presieduti da Giovanni Spadolini (il primo Presidente del Consiglio non democristiano, nella storia italiana, fino a quel momento) e poi, divenne Ministro dei Trasporti, con il V° Fanfani. In quegli anni, in attesa che assurgesse agli incarichi di Governo, fu presente in Commissione Giustizia e fino a quando non entrò nell’ esecutivo del ‘Giovannone’ laico e repubblicano, Casalinuovo fu Vicepresidente del Gruppo Parlamentare del PSI, il suo Partito sempre amato, mai rinnegato e in cui ha costantemente militato. Quale monumento morale e politico ha rappresentato Mario! Lo sanno tutti, gli volevo un gran bene e da lui ero ricambiato con affetto ed attenzione, che al solo pensarci adesso, ancora mi commuovono. Mi faceva le battute su mio nonno Ciccio (entrambi colleghi in Parlamento) e sul mio bisnonno, Tiberio Evoli il quale a differenza del genero, cioè nonno Ciccio che era democristiano, lui, suo suocero, fu Presidente del Gruppo Parlamentare del Partito Socialista Riformista alla Camera del Re. Ovviamente, per Mario, era piu affine -culturalmente parlando!- quest’ultimo, ma il suo garbo sincero, lo indirizzava verso chiunque. Così come la sua grande umanità e il coraggio indomito, non solo del socialista autentico, bensì dell’uomo vero.

Racconto io un aneddoto ufficiale, che pochi sanno e il destinatario della sapienza oratoria e concettuale di Mario, non dimenticò mai, ribadendomela più e più volte, nel corso degli anni: sto parlando di Francesco Cossiga!

Durante il dibattito alla Camera -voluto dal PCi (guidato, proprio, dal cugino di Francesco, ovvero il ‘discutibile’ Enrico Berlinguer)- Cossiga dovette affrontare una pretestuosa messa in stato d’accusa, per la vicenda inerente Carlo Donat Cattin (allora Vicesegretario Nazionale della Democrazia Cristiana) e di suo figlio Marco, esponente sinistro del terrorismo sinistrorso. Le invettive sul Governo e sulla DC erano strumentali, fallaci, propagandistiche, in quanto persino tra gli esponenti comunisti si sollevarono perplessità circa la linea che il loro Segretario ‘moralista’ voleva fare passare -Pajetta, infatti, nell’argomentare i suoi dubbi disse, testuale, “Cossiga si sarebbe comportato in egual misura, anche con ciascuno di noi, se avessimo avuto la tragedia di un figlio estremista e fuorilegge. Enrico, tu lo sai, lo conosci, è persino tuo cugino!”, mentre Berlinguer gli rispondeva gelidamente “con i cugini si mangia la carne di capra, non si fa politica!”- epperò la voce stentorea, appassionata, nell’Aula di Montecitorio, fu proprio quella di Mario. La vicenda è nota, ed in più chiarita, la quale dimostrò come non ci fu violazione di legge, semmai rispetto di molti, verso un padre disperato e da parte di pochi, accanimento propagandistico (e di infimo mercato), per di più paraideologico. Certo, vi fu leggerezza da parte di qualcuno -pace all’anima sua, in quanto è deceduto da poco e sto parlando di Virginio (per noi DC, ‘Gingio’) Rognoni, il quale da Ministro degli Interni in carica, si fece scivolare la primigenia ‘non colpa’ di essere stato lui ad avvertire -doverosamente!- il suo Presidente del Consiglio (Francesco Cossiga), circa le ‘attitudini’ del figlio di un esponente di primo piano del loro (e anche del mio) Partito.  Carlo Donat Cattin, non aveva più contatti con la sua prole ricercata, epperò non gli fu risparmiato nemmeno un simile dolore, accompagnato da siffatto aggravio con supplemento di mortificazione. Stessa mortificazione -sebbene con diverso coinvolgimento affettivo ed emotivo- la ebbe Francesco Cossiga, il quale di tanto in tanto me la ricordava (onestamente scevro da qualsiasi risentimento, a fronte della ‘coltellata alla schiena’, inflittagli da quel -lo dico io!- suo ‘ignobile’ cugino) e con sconfinata riconoscenza verso Bettino Craxi e Mario Casalinuovo, appunto.

Anche di questo, parlammo una sera di inizio gennaio 1998, qui in Calabria e, precisamente, da Aurora Talarico, perché Francesco (Cossiga, ndr) scese da lei -cugina del suo e nostro, caro amico, cioè Pippo Marra- a passare le festività di Capodanno: difatti, finito il pranzo a casa di Elio e Cio Colosimo, Mario e me medesimo, ci incamminammo verso la proprietà di Aurora, nei pressi di Sellia Marina. Non vi dico che acquazzone trovammo lungo il seppur breve tragitto e confesso quanto fossi teso, perché Mario, alla guida -con la sua mitica Ford Fiesta- al pari del sottoscritto (che ancora difetta con coerenza), non era affatto -come di dice- ‘un guidatore provetto’. Allorquando giungemmo, eziandio, a destinazione, me la cavai con una delle mie solite battute (e ne ho i testimoni!), proprio nel mentre salutavo Francesco (Cossiga, ndr) -che con il suo parlare divertito, chiedeva il motivo di cotanto ritardo- facendogli: “Se ridiventi, a Maggio, Presidente della Repubblica” – difatti di lì a quattro mesi scadeva il mandato di Oscar Luigi Scalfaro- “e qualcuno ti portasse nell’elenco dei Ministri il nome di Mario, nuovamente per i Trasporti, depennalo. Guida peggio di me e forse di Clemente (Mastella, ndr) e magari pure di Tassone. Destiniamolo ovunque, compresa la Giustizia dove sarebbe eccellente, vista la sua formazione. Ma non dimenticare pure la Sanità, perché ha procurato più potenziali incidenti lui in questa mezz’ora in macchina, di un’ambulanza guidata da uno sbronzo”. Mario rise, rise di gusto, seguito da Francesco che di rimando si volta verso di lui e gli fa (al netto dell’inconfondibile accento sardo): “Hai visto, lo abbiamo allevato bene. Poi la sua irriverenza è merito solo mio!”.  Eh già, ricordi di tutta una vita, la mia per la precisione, di cui sono grato a Dio, pur continuando a chiedermi oggi: “ma che ci faccio con i neofiti con cui devo confrontarmi e pensano, persino di insolentirmi? Devo ricordarmi di Francesco. E devo ricordarlo pure a loro, tanto per metterli sull’avviso, benché spesso, alcuni sono talmente tonti, da non capire incontro a ciò che vanno. Come disse Cicerone? Mala tempora currunt et peiora premunt”.

D. Dunque Aldo, orsù e a noi: condividi? Te lo chiedo, poiché vorrei avere persino un tuo giudizio -signorile, veritiero, ma non buonista- circa la tua attuale esperienza di Assessore Comunale nella Giunta di Nicola Fiorita, mio caro amico, ma digiuno di politica al pari dell’indimenticabile Marco Pannella, quando faceva gli scioperi della fame. Patti chiari, non per metterti in difficoltà, ma per capire quanto sia possibile che uno come te, il quale ha avuto ‘la vera politica’ nelle mura di casa -e Mario, quando vedeva cose che non erano consone al nostro mondo, non le mandava certo a dire, seppur in modo delicato- dicevo uno come te e con la storia personale e familiare, può accettare un’approssimazione gestionale simile? Non dico che tutti siano ‘sprovveduti’…ci mancherebbe altro, però a parte Marinella Giordano, la quale è inappuntabilmente competente, è opinione di ciascuno quanto tu stia facendo un lavoro eccelso, quindi -se non altro nel tuo caso- possiamo ben dire ‘buon sangue non mente’?

R. Credo che si sia sulla buona strada. Nessuno ha la bacchetta magica, ma il lavoro che si sta facendo per la città è molto importante e i risultati stanno già cominciando a vedersi. Ogni osservazione criticamente costruttiva è naturalmente ben accetta, ma se ci fossero meno polemiche pretestuose non sarebbe male. Sindaco e Giunta stanno facendo un buon lavoro per Catanzaro ed è necessario proseguire su questa strada con la necessaria continuità, consapevoli che al netto della prima fase di assestamento stiamo ora entrando nel vivo delle tante questioni sul tappeto da affrontare nel mezzo di difficoltà, anche inaspettate, e di emergenze continue. Noto un risveglio della città e una nuova voglia di partecipare e di costruire cose buone: è come se ci si svegliasse dopo un lungo periodo di torpore e si riprendesse di buona lena ad agire. Quanto alla politica di oggi e a quella di ieri, mio caro Vincenzino, scopriamo l’acqua calda: passioni, personalità, spessori umani e politici (pur con gli aspetti controversi dell’epoca che fu e che poi abbiamo conosciuto) erano ben diversi da quelli di oggi. Ma, ahimé, è forse peggiorato il mondo attorno a noi, tutto.

D. Va bene, glissiamo circa le omissioni su Nicola, benché` l’anno scorso ti avvisai per tempo come sarebbe finita, ovvero la scelta del PD (il tuo Partito) a suo favore e per altro senza che lui fosse nemmeno iscritto: ricordi, feci pure un articolo? Parliamo di veri politici, adesso: che padre è stato Mario? Io so tante cose, però è giusto che sia tu e consegnarcelo per come era.

R. È stato un padre molto attaccato alla famiglia, con sentimenti forti ma certamente anche piuttosto riservato nell’esprimerli. Frutto del carattere, di una formazione rigorosa, ma anche delle vicende di vita vissuta: trascorse quasi due anni da prigioniero in un campo di lavoro nazista, appena ventenne, e questo forse lo forgiò ad una essenzialità, oltreché nello stile di vita, anche nelle manifestazioni esteriori, pur con una grande umanità e una autentica attenzione verso gli altri. Un padre certamente affettuoso e generoso, ma aggiungerei senza smancerie.

D. Aldo caro, la sorte, ha segnato un grande dolore nelle vostre vite, cioè la morte prematura di tuo fratello: non desidero essere invasivo oppure indelicato, quindi se vuoi rispondere fallo nel modo in cui ti senti. Chiunque dovrà comprendere e comprenderà, persino la giusta dimensione di dolore, soprattutto quella che provarono i tuoi genitori.

R. 3Peppino mori a sedici anni, nel 1972, a causa di un incidente in moto. Io avevo dieci anni. Era un ragazzo di eccezionale vitalità, di una simpatia innata, sempre circondato da amici ed amiche, con una infinità di interessi, tutti vissuti gioiosamente come si può fare a quell’età. La sua improvvisa perdita fu un grande buco nero per tutti noi e per i miei genitori in particolare. Papà il giorno dell’incidente era a Reggio Calabria, dove trascorreva quasi tutta la settimana per assolvere ai suoi impegni di presidente del Consiglio regionale. Si spostò nella notte a Messina dove Peppino fu trasportato per un intervento sanitario estremo, impossibile da eseguire all’epoca a Catanzaro. Il suo ricordo (così come quello di mia madre, deceduta qualche anno dopo) ha attraversato le nostre esistenze, costantemente e silenziosamente.

D. Ricordi quando tuo padre divenne Presidente del Consiglio Regionale? Nei hai parlato la scorsa estate in un tuo intervento sulla stampa -e ciò dimostra che la mia prima domanda era sincera, non strumentale, ovvero rispettosa, non speciosa- perciò richiamiamo alla memoria, quel mirabile momento politico della legislatura costituente il regionalismo calabrese. Come vivevate i momenti ‘turbomenti’ (i moti di Reggio, per l’appunto) e cosa rimase in voi di una simile stagione politica?

R. Non ho un ricordo preciso della sua elezione perché troppo piccolo (avevo soltanto 8 anni). Ricordo bene però gli anni a seguire, che furono caratterizzati dalle sue continue trasferte a Reggio. Vi si recava il lunedì e rimaneva lì praticamente per l’intera settimana, soggiornando all’hotel Excelsior, sul principio del lungomare (lo dico perché anche quel luogo – evidentemente punto di riferimento per riunioni politiche ed istituzionali di quella stagione così particolare ed anzi unica – rimase un punto fermo dei suoi ricordi). Si trattava di avviare l’istituzione regionale, con pochissime risorse materiali ed umane, e dunque il suo impegno quotidiano era davvero totalizzante. Ricordo anche molto bene le preoccupazioni di mia madre a causa della situazione di grande tensione in città (i cosiddetti moti di Reggio Calabria) e di pericolo per l’incolumità personale di coloro che, non reggini, erano impegnati nell’istituzione regionale.

D. Avrai, certamente, pure un ricordo della sua elezione in Parlamento e poi del periodo degli incarichi di Governo. Come si svolgeva la vostra vita?

R. Dopo una mancata elezione, per una manciata di voti, nel 1968, fu poi eletto alla Camera dei Deputati nel 1979 e nel 1983. Fu un periodo di attività politica intensissima: a Roma dal martedì al venerdì mattina (cercavamo di non mancare – io lì universitario – almeno una cena insieme il mercoledì sera), completamente assorbito dagli impegni istituzionali e di governo; e poi il fine settimana in Calabria per “curare” il collegio elettorale, come allora usava. Si trattava dell’intera regione e dunque – senza social, internet o altre “scorciatoie” comunicative – c’era da girare per città e per paesi, nelle sezioni o in convegni ed in altre occasioni pubbliche, macinando centinaia e centinaia di km ogni giorno e stringendo molte mani. Oltre al lavoro da svolgere in segreteria per ricevere compagni di partito ed elettori. Un mondo ed un modo di intendere e praticare l’attività politica molto diversi da quelli cui siamo abituati oggi.

D. Aldo, tuo padre che rapporto aveva con i suoi compagni di Partito? Vuoi raccontarci di Craxi, Mancini, Lombardi, Giolitti, Formica, De Michelis, Signorile e Martelli?

R. Papà fu sempre un demartiniano, un seguace cioè di Francesco De Martino, ordinario di Diritto Romano a Napoli e per lungo tempo segretario del partito, con il quale ebbe un costante e fraterno rapporto. La corrente si chiamava “Riscossa” e in Calabria era generalmente minoritaria, riscontrandosi una prevalente presenza di “manciniani”, aderenti cioè alla proposta politica di Giacomo Mancini. Con Mancini vi fu sempre un rapporto di stima reciproca, pur nella differenza di posizioni all’interno del partito. Di Craxi papà ricordava gli esordi alquanto dimessi da semplice funzionario di partito in quel di Milano e da giovane “delfino” di Pietro Nenni, riconoscendogli naturalmente le straordinarie capacità politiche che si evidenziarono subito dopo la sua elezione alla segreteria del partito (che doveva essere transitoria!)  nel comitato centrale del Midas nel 1976. E Craxi lo volle, poi, quale rappresentante calabrese nel V governo Fanfani, nel 1982, in qualità di ministro dei trasporti (dopo le esperienze da sottosegretario ai LL.PP. nei precedenti governi Spadolini). Anche con Giuliano Vassalli ebbe un rapporto di lunga e strettissima amicizia. Ho recentemente incontrato Claudio Martelli e mi ha fatto molto piacere che mi abbia ricordato, con una certa commozione, la stima e l’affetto che papà gli portava e che lui ricambiava con grande rispetto data anche la differenza di età. 

D. Scusami, abbiamo parlato dei compagni del PSI, adesso invece dei colleghi degli altri Partiti: con chi si trovava a suo agio e in sintonia? Di Cossiga ho accennato io, vuoi aggiungere qualcos’altro?

R. Cossiga gli fu sempre molto grato per il discorso fatto in Parlamento, parlando in  sua difesa a nome del PSI, nella procedura di impechment relativa alla drammatica vicenda che interessò il figlio di Donat Cattin.  Uni’, in quel caso, la difesa politica a quella tecnico- giuridica, sortendo un effetto di particolare efficacia. I rapporti successivi con Cossiga furono dunque sempre improntati a grande cordialità. Così come con lo stesso Fanfani. Nel mio personale ricordo ci sono gli incontri a Catanzaro, in differenti occasioni pubbliche e quando la sua attività politica era terminata, con Walter Veltroni, Anna Finocchiaro, Luciano Violante, e con il già presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, solo per citarne alcuni. Riscontrai sempre una bella e affettuosa consuetudine umana sull’onda, evidentemente, della comune e intensa attività parlamentare.

D. Caro Aldo, so che per Mario è stato un dolore assistere al dissolvimento del suo Partito. Tra l’altro io vivevo un dramma simile per il mio e ne parlavamo sempre entrambi, durante i nostri pranzi domenicali e festivi da Elio e Cio. Vuoi dirci tu qualcosa di più personale?

R. Hai ragione, si può dire che per lui fu un dolore il dissolvimento del Partito Socialista. Fu sempre però consapevole del “passaggio d’epoca” che si realizzò negli anni ’90 e non fu mai un  “nostalgico”. Rimase tuttavia sempre socialista, con una fede politica che, maturata da ragazzo, non abbandonò mai. E quando nella diaspora socialista alcuni “frammenti” finirono a destra, non se ne capacitava. I socialisti, diceva, devono stare a sinistra, pur con i limiti e le difficoltà di definizione politica che i decenni più recenti avevano già portato nei tradizionali schieramenti e che a lui erano ben chiari.

D. Bene Aldo, siamo all’ultima domanda: tu e tua sorella Giuseppina, siete persone speciali, alle quali sono affezionato anche nella mia sfera privata. Entrambi avete una signorile discrezione e un’educazione come pochi. Poi, per quanto riguarda te, spero che la politica -quando tornerà ad essere ‘Politica’- ti dia le soddisfazioni che meriti. Una cosa, però vorrei chiedertela, pure se conosco già la risposta: pensi a tuo padre? Ma soprattutto che cosa gli diresti, se fosse qui con noi?

R. Certo lo penso spesso e, come credo capiti a tanti di noi pensando ai padri che non ci sono più, penso alla solidità, non so come dire, della sua figura e dei suoi convincimenti. In un mondo ondivago e non sempre sincero, tante volte “povero” e deludente sul piano dei valori, è un pensiero che in qualche modo aiuta a trovare la strada, anche se non è sempre detto che sia quella giusta. Penso che non gli direi nulla, in fin dei conti abbiamo avuto il tempo di dirci tante cose nella vita, se non tutto. Gli darei forse un bacio sulla “ganga”, come lui diceva e faceva con me, chiamandomi apposta per questo, quando ero bambino. E forse varrebbe più di tante parole.

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