Mar. Lug 30th, 2024

di Vincenzo Speziali

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Mario Tassone è una colonna storica della politica calabrese, ed anche nazionale. Lo è pure per noi democristiani, sia in loco (cioè nella nostra regione), sia a Roma (dove ha ricoperto incarichi, non solo di Governo ma pure di Partito). Inutile qualsiasi infingimento, poiché l’ho già detto (anche al netto di qualche polemica -di cui mi dispiace- e che talvolta abbiamo): a Mario devo molto, moltissimo!

Lui, tra le altre cose, era uno dei pupilli di mio nonno e gode di una vera ed autentica affettività di mia madre -la figlia di mio nonno, per l’appunto!- la quale allorquando le strade di Mario e del sottoscritto si dividono -ma solo momentaneamente, giammai per sempre (…e grazie a Dio è così)- proprio la mia genitrice, mi sottopone ad una gragnola di improperi (ammetto essere giusti!), con la dolce fermezza che solo una Democristiana genetica quale è lei, può fare, alfine di riuscire a rimettere in ordine le cose.

Poi, è pur vero che le cose passano ma la storia continua e se per questo sarebbe financo giusto raccontarla. Proprio per tale motivo, in questa intervista, non posso, né devo, né, soprattutto, voglio, dimenticare Caterina, la stupenda Caterina, moglie di Mario, madre -IMPAREGGIABILE- dei suoi figli, ovvero i miei amici Rosella (di cui sono stato compagno di classe alle elementari, con l’indimenticabile Maestra Adriana Palmarelli); Gianluca (con il quale condivido la passione politica e che risponderà alle domande per questa intervista); e Stefania (la più piccola, ma la più ‘forte’, caratterialmente!).

D:Allora Gianluca, quale ricordo hai, dell’infanzia con un padre così assorbito -meritevolmente- nella sua attività politica? E quali sono gli esempi e gli insegnanti che ti ha dato?

Ho un ricordo abbastanza nitido: il salone della casa in cui sono nato, avrò avuto 4 o 5 anni. Era pieno di gente, si sentiva il vociare incessante, io mi facevo largo tra le persone che discutevano animatamente. Ricordo una nebbia e un odore forte di tabacco che ti lasciava quasi senza respiro. Mi mettevo in un angolo e ascoltavo. Era la politica del confronto, della sintesi del coinvolgimento.

Oggi non si parla più, si è meno coinvolti e probabilmente le tensioni, le idee e le visioni che animavano quelle discussioni sono annichilite. Non voglio dire che prima era meglio in assoluto, ma si è perso tanto del buono che c’era. La politica è ascolto, sintesi. Nel salone di casa mia si cercavano soluzioni, si costruiva il futuro e lo si faceva tutti insieme non c’erano leader assoluti. Quale esempio migliore del vedere una politica dove è forte il sentimento di amicizia, dove la passione è tangibile, dove si rispettano le opinioni di tutti. Gli insegnamenti di mio padre sono passati principalmente dalle assemblee, dai confronti.

D: Perdonami, mi avventuro nell’intimità familiare, che conosco avendola frequentata e frequentandola a tutt’oggi. Tua madre -che anche io ricordo con affetto infinito e struggente tenerezza- ha avuto un ruolo importante, nella gestione (in senso positivo, ovviamente) della carriera politica di Mario e nella vostra crescita educativa. Giusto?

Un ruolo fondamentale. Non ha fatto mai pesare a mio padre le assenze ed è stata la sua più importante consigliera. Ha avuto il merito di crescere noi figli da sola con umiltà e senza farci condizionare troppo dal ruolo di nostro Padre. E’ stato molto difficile per lei, ma lo ha fatto senza mai lamentarsi. Chi l’ha conosciuta sa bene che non le sono mai piaciute le luci della ribalta, è stata una persona di grande cultura, di immense capacità, ma che aveva la sua dimensione nella semplicità e nella quotidianità.

A nostro padre ha sempre dato consigli con serenità, non l’ho mai sentita parlare in maniera tranciante di qualcuno o tentare di fare una selezione delle persone che dovevano stargli vicino.

D: Gianluca, tuo padre, racconta -come fa spesso con me- i momenti importanti della sua mirabile esperienza politica?

A lui piace molto raccontare. Ho avuto la possibilità di ascoltarlo molto di più in età adulta, da bambini lo vedevamo poco. Il parlamentare, specialmente negli anni 80, aveva un ruolo diverso. Mio padre durante la settimana era a Roma mentre il resto della famiglia rimanevamo a Catanzaro, quando tornava per il fine settimana andava in giro per il collegio, che in Calabria era enorme, andava da Mormanno a Villa San Giovanni. Era un periodo in cui i parlamentari dovevano rispondere al popolo sovrano che li aveva eletti, oggi è più importante “ingraziarsi” i segretari di partito e sperare di essere selezionati. Faceva dei veri e propri “tour de force” per riuscire a incontrare e ascoltare tutti. Anche d’estate lo vedevamo poco, c’erano le feste dell’amicizia, gli eventi. Oggi è più facile per noi ascoltarlo. La sua è stata una carriera politica straordinariamente lunga in cui ci sono tanti aneddoti, spesso divertenti, molti importanti per capire un determinato periodo storico.

D: Cosa dice e come ‘trasmette’, le sue sensazioni emotive, in merito al periodo del martirio di Moro? Era già Deputato allora e si sa che Mario avesse un rapporto filiale con il nostro povero Presidente, il quale è e rimarrà il migliore, non solo tra noi democristiani, bensì rispetto a tutti.

Moro è il personaggio politico a cui nostro padre è stato ed è rimasto più legato. E’ stato il primo a credere in lui. Nella casa paterna conserviamo una targhetta con un suo pensiero quasi premonitore, recita: “E’ un giovane e farà tanta strada”. All’epoca nostro padre faceva parte del movimento giovanile e si apprestava a fare la sua prima campagna elettorale per il parlamento. Quello che è successo dopo, dal rapimento all’assassinio di Moro, ne ha condizionato non solo il percorso politico, ma tutte le scelte che ha fatto in futuro. E’ stato un evento traumatico che l’ha accompagnato per tutta la vita. Nella DC c’erano le correnti, lui è sempre rimasto moroteo fino alla fine.

D: Gianluca, hai un ricordo del periodo in cui il PPI (del quale tuo padre era Capo Segreteria Politica) si scisse infaustamente? Io ero con lui, quale Segretario Nazionale del Movimento Giovanile, perciò ne ho un ricordo vivido. Come visse in casa quel periodo, altrettanto doloroso, considerando la sua formazione e la sua storia?

Ricordo bene quel periodo, frequentavo piazza del Gesù. Era un periodo particolare, mani pulite aveva distrutto in un attimo quasi 50 anni di storia repubblicana, pochi si erano salvati da quello che prima o poi verrà consegnato alla storia come un vero e proprio colpo di stato. L’Italia non era pronta al bipolarismo (non credo lo sia nemmeno oggi) e c’era molta incertezza. Oggi il ricordo per molti è annebbiato, quasi addolcito, ma ricordo bene che parlare in quel periodo di Democrazia Cristiana o di popolarismo cattolico era difficile. La gente vedeva la DC e il PSI come gruppi criminali che avevano prosciugato e umiliato il Paese (che alla fine degli anni 80 era tra le prime 5 superpotenze mondiali). L’ulteriore scissione del PPI fu drammatica, si discuteva all’interno del partito proporzionalista per definizione e indole di scegliere da che parte stare nel folle scimmiottamento del sistema anglosassone che incautamente continuiamo ad inseguire. C’era una parte consistente che voleva allearsi con i progressisti e un’altra parte, che pur di non allearsi con chi era stato complice accondiscendente dello smantellamento della prima repubblica, era disposto ad appoggiare Berlusconi. Il Congresso che ne seguì è storia, nacquero PPI e CDU.

D: Caro Gianluca, tuo padre mi ha sempre detto che non avrebbe mai smesso di fare politica e lo capisco, perché ciò vale pure per me. Anzi, ricordo benissimo come simile impostazione è valsa anche per Ciriaco De Mita. A tal proposito, vuoi raccontare, proprio tu che rapporto ebbero i due? So alcune cose, ma è giusto che come figlio di Mario, le illustri, parlando di tuo padre.

Mio padre ha avuto il merito di non essere mai conflittuale nei rapporti. Se c’erano divisioni e contrasti lui si poneva come mediatore. Ha dovuto, come spesso accade in politica, anche ingoiare rospi, ma lo ha fatto con serenità e pazienza. Il rapporto con tutti e anche con De Mita è stato sempre un rapporto di rispetto. E’ stato il suo segretario nazionale per molto tempo. Il segretario nazionale era espressione del congresso, del popolo e anche se alcune decisioni non le si condividevano appieno le si accettavano. Si sono ritrovati nell’ultimo periodo, quando tutti e due hanno tentato invano di ritrovare nell’UDC quell’entusiasmo che animava la DC.

D:Invece, Francesco Cossiga, Amintore Fanfani, Mariano Rumor, Giulio Andreotti ed Emilio Colombo, in quale modo li consegnava nelle vostre conversazioni?

Ci sono tanti aneddoti legati ai leader della DC. All’epoca non c’erano i telefonini e si chiamava al numero di casa. A me capitava di rispondere a Cossiga. Come dicevo prima nostro padre è sempre rimasto moroteo, in un periodo in cui anche chi era minoranza aveva considerazione e rispetto. Aveva enorme rispetto, quindi, per tutti e per qualcuno ammirazione, ma non è mai stato parte di nessuna corrente. Ci sono come dicevo, tanti aneddoti che riguardano ciascuno di loro. Fanfani ad esempio era uno dei più conservatori all’interno del Partito e con mio padre, parte del movimento giovanile ci furono, come giusto, scontri generazionali. Ma ci fu sempre da parte di Fanfani un atteggiamento quasi paterno nel confronto.

D: Gianluca caro, ho assistito ad un incontro struggente -seppure fino ad un certo punto, in quanto poi li lasciai da soli- tra tuo padre e Misasi, pochi mesi prima della scomparsa di Riccardo. Ricordo che eravamo negli uffici di Mario, quando lui, nella XIII Legislatura (1996/2001), ricoprì l’incarico di Segretario di Presidenza della Camera, con Luciano Violante a capo dell’Assemblea Parlamentare. Quali sono i ricordi che consegna a te e alle tue sorelle e a tutti i nipoti, proprio su Riccardo Misasi?

Riccardo Misasi è stato un grande personaggio. Ricordo bene i suoi interventi nelle riunioni, carichi di passione e visione. Sapeva parlare al cuore delle persone. Ci fu sempre un buon rapporto tra quelli che in Calabria si contendevano la leadership del partito, ricordo alcuni incontri tra mio padre, Carmelo Puijia e Riccardo Misasi. Si prendevano decisioni, ma la cosa che ricordo e che porto con me è che il fine ultimo era sempre il bene del partito. Se una cosa non andava in quella direzione non era giusta.

D:Gianluca, un’ultima cosa, ovvero credi come me, che sia stato giusto impegnarsi così tanto -come ha fatto e continua a fare tuo padre- per questo nostro coerente e immenso ideale democristiano?

Bisogna ritrovare i valori positivi della Democrazia Cristiana e consegnarli alla politica attuale. C’è stata una fine traumatica della DC che non ha permesso di trasmettere quell’esperienza alle nuove generazioni. I valori fondamentali della DC, il modo di essere partito, la democrazia interna, l’amicizia sono pilastri su cui costruire l’impegno futuro. Ho l’impressione che in Italia abbiamo la predisposizione a sbattere la testa per cercare di fare cose nuove quando abbiamo storie ed esperienza

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