Il centrosinistra fedele al governatore convoca il focus sul programma, una mossa che allarga la frattura col Nazareno. Guglielmelli attacca Graziano: «Metodi staliniani». Ma dalla parte del commissario regionale c’è tutta la segreteria. Intanto il partito aspetta l’esito del voto in Umbria per chiudere con i 5 stelle
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L’ora è vicina. Il governatore Oliverio e il suo pattuglione di dissidenti avanzano a grandi passi verso l’uscita dal Pd. La scissione è ormai dietro la curva.
Con la convocazione ufficiale del «focus programmatico» della «coalizione di centrosinistra», in programma per il 4 novembre nella zona industriale di Lamezia, l’area oliveriana ha imboccato una strada senza ritorno, del tutto alternativa a quella disegnata dal Pd.
Il focus
Il focus, che prevede ben sette tavoli tematici, è finalizzato a «un ampio confronto con le forze sociali e produttive per individuare i temi di più rilevante interesse per lo sviluppo della Calabria», al fine di «costruire un programma elettorale per le prossime elezioni regionali».
Un programma che non coincide con quello del Pd, che – oltre ad aspettare l’ufficialità dell’accordo con il M5S per stilarne uno – ha detto in tutte le lingue del mondo il suo no alla ricandidatura del governatore uscente. Non c’è alcun dubbio che quella di Lamezia sia una sorta di Leopolda fatta su misura per Oliverio.
Per ogni argomento trattato ai tavoli, infatti, «saranno indicati e documentati i fatti più importanti e significativi prodotti dall’attuale giunta regionale».
Oliverio tira dritto
Il focus è insomma la conferma di quanto fossero infondate le voci su un possibile passo indietro del presidente. Che invece va avanti come un treno, insensibile a quanto sta avvenendo in quello che – nelle sue varie forme – è stato il suo partito per più di quarant’anni.
Il Pd, come anche il Movimento, aspetta con ansia l’esito del voto in Umbria. Una vittoria o anche una sconfitta di misura – risultati che i sondaggi ritengono possibili – rafforzerebbero il governo giallorosso e darebbero nuovo impulso alla sua estensione anche nelle regioni presto chiamate al voto.
Vuol dire che, già da lunedì mattina, Pd e 5 stelle potrebbero mettersi seriamente al lavoro per sancire l’alleanza anche in Calabria, con tanto di candidato presidente (che non sarà Oliverio) e di programma (che non sarà quello di Oliverio). Il governatore sa ben prefigurarsi i possibili scenari; ed è proprio per questo che la sua accelerazione ha il carattere dell’eresia politica che anticipa lo scisma.
Graziano e i metodi «staliniani»
D’altronde, al commissario regionale del Pd Stefano Graziano e al responsabile del Sud Nicola Oddati tutto si può rimproverare tranne di non essere stati sufficientemente chiari. Sono loro i poliglotti incaricati di tradurre la linea che la segreteria Zingaretti ha stabilito anche per la Calabria.
Lo stesso Graziano, nelle ultime ore, ha ribadito la volontà di seguire quella impostazione e di puntare su un candidato civico sostenuto da Pd e 5 Stelle. Siamo al redde rationem, come testimonia anche la virulenta nota vergata dal segretario della Federazione provinciale di Cosenza, nonché oliveriano doc, Luigi Guglielmelli, che ha accusato Graziano di usare metodi «staliniani», di soffocare «il dissenso politico», di sacrificare il Pd calabrese sull’altare della candidatura di Bonaccini in Emilia Romagna e di voler regalare «il governo della nostra regione al centrodestra».
Ha anche proposto un referendum sull’accordo Pd-5S, Guglielmelli, quasi a mo’ di provocazione.
La linea Zingaretti
Perché è chiaro che il Pd non intende mettere in dubbio il dogma dell’accordo con il M5S, né quindi rivedere la posizione di quell’eretico di Oliverio. A stretto giro, alle parole di Guglielmelli sono perciò seguite quelle del suo omologo vibonese, Enzo Insardà, secondo cui Graziano e gli altri dem regionali «non hanno fatto altro che applicare la linea tracciata dalla gran parte del territorio e degli attori istituzionali del Pd».
Ma a pesare sono soprattutto le ultime dichiarazioni di big nazionali come Dario Franceschini e Roberta Pinotti. Il ministro della Cultura, in una intervista a La Stampa, ha espresso tutta la sua soddisfazione per l’immagine di Conte, Zingaretti, Di Maio e Speranza sullo stesso palco e sottolineato come quella in Umbria sia «la prima tappa di un percorso che deve durare nel tempo».
Il patto non è temporaneo, ma «strategico»: dopo il voto di domani, «ci saranno Calabria, Emilia Romagna, poi sempre nel 2020 Toscana, Liguria, Campania». E Franceschini prova a rovesciare la prospettiva: «Se il governo va avanti bene, che ragione può esserci per dire agli elettori “governiamo insieme l’Italia ma non ci presentiamo insieme nelle regioni o città in cui si vota”?».
Quanto all’ex ministro della Difesa, ieri a Rende per un incontro di Zonadem, si è invece preoccupata di difendere senza se e senza ma l’operato di Graziano: «La linea seguita dal commissario ha il pieno appoggio della segreteria nazionale», ha puntualizzato Pinotti, del tutto convinta che non basti «dire che bisogna fermare Salvini».
Pd e M5S dovrebbero piuttosto «avere il coraggio di rintracciare le basi comuni. E questo deve avvenire a cominciare proprio dai territori».
Il Pd va, dunque, in una precisa direzione. Oliverio va da tutt’altra parte. Ecco perché la scissione sembra ormai solo questione di tempo.
bellantoni@lactv.it