Lun. Ago 12th, 2024

La “prestanome”. Immacolata Giustino, 50 anni, non immaginava di ritrovarsi sul groppone, già all’alba d’una soleggiata giornata di autunno, una ordinanza di custodia cautelare. Gli investigatori della Dia hanno fatto irruzione nella sua casa di Marina di Schiavonea, a Corigliano Rossano, cogliendola di sorpresa. Il tempo delle notifiche di rito ed è stata ammanettata e trasferita in carcere.
L’accusa? Essere la “testa di legno” di un temuto (presunto) boss della ’ndrangheta, Vincenzo Alvaro, con interessi nella Capitale. Un padrino a capo – secondo la Dda di Roma – del “locale” mafioso aperto in riva al Tevere per gestire affari variegati: dal traffico di droga al riciclaggio di denaro sporco. Un riciclaggio attuato rilevando esercizi commerciali, società imprenditoriali, locali pubblici.

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A Immacolata Giustino, al fine di eludere le disposizioni dì legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, sarebbe stata attribuita fittiziamente, da esponenti della ‘ndrangheta, la titolarità del capitale sociale della “Prontomar Roma s.r.l.” azienda specializzata nella vendita di prodotti ittici. Il passaggio di quote societarie sarebbe stato deciso proprio da Vincenzo Alvaro, ritenuto esponente apicale della cellula mafiosa insediata nel capoluogo laziale e dai suoi sodali Giuseppe Penna e Marco Pomponio, con il contributo di Massimo Cella. I fatti contestati risalirebbero al tre febbraio scorso.

(Autore Arcangelo Badolati)

Leggi l’articolo completo sull’edizione cartacea di Gazzetta del Sud – Calabria

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