Mer. Lug 17th, 2024

L’oceano indiano si frantuma, imponente, sulle scogliere che fanno da confine orientale al campo delle Nazioni Unite. Alle spalle della terrazza del compound militare che ospita l’ospedale, dolci colline brillano delle tante luci di una città che si va assopendo. Sulle strade i fanali delle macchine illuminano a sprazzi il buio della sera per poi perdersi in lontananza. Com’è lontana Mogadiscio. Questa città, che cade sotto i miei occhi, non ha il volto feroce del ceckpoint Pasta. Questa notte, non sembra la città che ha ingoiato Andrea Millevoi, Stefano Paolucci, Pasquale Baccaro, i soldati italiani rimasti sul campo in quello scontro a fuoco. Com’è lontana Mogadiscio. Insiste la brezza dal mare e spazza via ogni idea di guerra, ogni idea di morte. Guardo oltre la linea scura che segna il confine tra mare e cielo. Guardo le stelle di questa parte di cielo, che si confondono con gli spruzzi virginali delle onde, e penso a Ilaria Alpi che ha visto lo stesso mare, lo stesso cielo, le stesse stelle e le stesse luci sulle colline prima di essere uccisa, non si sa bene per cosa e da chi. Ancora non si sa. Rimango sul terrazzo e guardo il mare. Un soldato della coalizione si avvicina e mi dice che non è prudente rimanere esposti di notte, che non tutto è innocente come sembra. Mi racconta che il mare è infestato di squali: in the sea there are a lot of sharcks, dice calmo. Lo scorso anno ha perso la vita un soldato ucraino, divorato da un pescecane tigre. Sempre lo scorso anno ad un altro soldato hanno amputato una gamba per lo stesso motivo. Dalle colline, proprio da la, precisa, indicando un punto non molto lontano, a volte, arriva qualche colpo di mortaio, certo non ha fatto ancora nessuna vittima, ma non si può mai dire. Qui ogni cosa che credi impossibile può diventare possibile in una frazione di secondo, spiega. Mi presento, chiarisco che sono uno dei due chirurghi del campo: allora è meglio che si tolga da ogni linea di tiro, mi risponde, non possiamo permetterci di perdere un chirurgo proprio adesso. Capisco cosa intende. Ieri è stato diffuso il bollettino sull’attuale stato di emergenza nella capitale: da tre è passato a due, significa che se non è assolutamente necessario non devi muoverti dal posto “sicuro” che ti hanno assegnato. A Mogadiscio, e nei dintorni, ci sono stati scontri ripetuti tra i miliziani di Al Shabaab e i soldati della coalizione. Sono state distrutte strade, negozi e vie di telecomunicazione. Il prossimo step, lo stato di emergenza uno, obbligherà i militari a sgombrare il campo da tutti i civili, anche a costo di rimanere senza assistenza sanitaria. Il campo è ordinato, pulito, come solo i campi militari sanno essere, anche la sabbia rossa sembra capire e rimane incollata a terra nonostante il vento, le jeep, i mezzi militari che la percorrono. Il rumore dei generatori di elettricità è la musica di sottofondo che ti segue in ogni tuo gesto quotidiano, non ti abbandona neanche di notte. Insiste, onnipresente, fino a diventare parte di te. Fino a mimetizzarsi tra i tuoi pensieri, fino a divenire parte del tuo consueto lavoro. In ospedale ho controllato tutta la strumentazione, ogni cosa in sala operatoria sembra a posto. Ogni cosa è pronta. Cammino lungo le vie di oleandro del campo e osservo i volti di questi soldati di tutte le nazioni. Volti giovani, senza sospetto alcuno che la vita possa concludersi. Come sempre mi chiedo chi, tra loro, sceglierà il destino. A chi di loro dovremo provare a salvare una gamba, un braccio, la stessa vita. Quante insidie: qui, il pericolo maggiore dopo i terroristi islamici, è la dengue, non la malaria. Le febbre emorragica, portata dalle zanzare, che si farà viva con la stagione delle piogge che sta per cominciare. Quante insidie, non mi va di pensare più a niente. E’ l’ora dell’ennesimo caffè, quello della sera. Mi siedo fuori con alcuni ragazzi del mio team chirurgico. Sorseggio il caffè, chiudo gli occhi e rivedo il mare oceano, le dolci colline, le stelle luminose: com’è lontana Mogadiscio questa sera.

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Mogadiscio 03/04/2019
Vincenzo Carrozza
UN General Surgeon

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